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1 - «SÌ, HO UCCISO IO I MIEI GENITORI» COSÌ BENNO È ARRIVATO A CONFESSARE
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera"
Alla fine è andata come tutti si aspettavano che andasse. Benno Neumair ha confessato. Ha ucciso lui i suoi genitori, Laura Perselli, 68 anni, e Peter, 63. Li ha strangolati con una corda, li ha caricati in macchina ed è andato a gettare i cadaveri sul ponte di Ischia Frizzi, una località a sud di Bolzano. Tutto questo il 4 gennaio e per giorni e giorni - dopo - lui ha provato a raccontare al mondo di essere innocente. Lo ha ripetuto anche dal carcere, dov'è finito il 29 gennaio con l'accusa di duplice omicidio e occultamento di cadavere. Non tornava niente, del suo racconto.
Gli orari dei suoi spostamenti, le azioni di quella sera e dei giorni successivi, le motivazioni date per aver fatto o non fatto qualcosa... La Procura diretta da Giancarlo Bramante ha trovato giorno dopo giorno i tasselli del puzzle che le indagini avevano delineato fin da subito. Punto di partenza fondamentale: la macchia di sangue ritrovata dai carabinieri nella neve, sul ponte dal quale Benno aveva buttato i corpi.
I suoi avvocati, Angelo Polo e Flavio Moccia, ieri sera hanno fatto sapere che c'è stato un passaggio che ha convinto il loro assistito a confessare, e cioè il ritrovamento del corpo della madre, il 6 febbraio. Quel giorno avevano parlato di un uomo in lacrime inconsolabile davanti alla notizia, ieri sera hanno detto che il ritrovamento del cadavere ripescato nell'Adige (quello del padre ancora non si trova) ha prodotto «una dissoluzione di schianto, di tutte le difese di negazione e rimozione» di quella realtà «per chiunque indicibile e inaffrontabile».
Forse è davvero così, forse Benno ha letto gli atti e ha capito di non avere scampo davanti all'accusa, o forse ha ascoltato la preghiera di suo zio Gianni, il cognato di sua madre, che in una lettera gli ha chiesto di confessare. E dopo la confessione, agli stessi suoi legali appare accettabile la valutazione psichiatrica (da loro mai caldeggiata) che la Procura ha chiesto al gip con un incidente probatorio per stabilire se Benno è capace di intendere e di volere (decisione che potrà contare molto sulla definizione della pena).
A proposito delle condizioni psichiatriche di Benno, la sua famiglia - per prima la sorella Madè - fa sapere attraverso gli avvocati che non si accontenterà della «scorciatoia» della presunta follia. Perché se è vero che Benno abusava di farmaci e doveva spesso controllare la sua aggressività, è anche vero che per uccidere e far sparire i corpi è stato più che capace di intendere e di volere, come dimostrano i suoi svariati tentativi di costruirsi un alibi e di inquinare le prove.
Per ora la Procura contesta l'omicidio premeditato soltanto per la madre (uccisa per seconda), l'omicidio d'impeto per il padre. Ma anche questo scenario potrebbe cambiare perché alcuni dettagli raccolti dalle indagini farebbero pensare a una pianificazione per entrambi.
2 - TRE ORE SENZA LACRIME «LA SOLITA LITE PER I SOLDI POI HO STRANGOLATO PAPÀ PER FARLO STARE ZITTO»
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera"
«Avevamo litigato per i soliti motivi. Io volevo finirla lì ma lui continuava e allora...». Allora Benno racconta che gli è capitata per le mani una corda, una di quelle da arrampicata. «L'ho presa e gliel'ho stretta al collo. L'ho fatto per farlo stare zitto». Sta parlando di suo padre, di quel pomeriggio del 4 gennaio che è l'ultimo di cui Peter ha visto la luce. Il verbale che riassume le tre ore di interrogatorio videoregistrato racconta di un ragazzo che confessa, sì, ma che non dice una sola parola di pentimento.
Nemmeno un «mi dispiace», non una lacrima, non un cenno di agitazione, di rimorso. Ha risposto alle domande, semplicemente. Racconta dello strangolamento di suo padre dopo una breve colluttazione, delle «solite litigate per i soldi, per tutto», descrive quella scena di morte come se fosse l'atto finale a cui - secondo la sua logica - è stato portato dall'esasperazione. Con freddezza dice che «mia madre è arrivata che era appena successo, non le ho nemmeno dato il tempo di togliersi il cappotto e quando è entrata ho strangolato anche lei».
peter neumair e laura perselli
L'ha uccisa con lo stesso «cordino», come lo chiama lui, usato per suo padre. Domanda: dove ha messo poi la corda? «L'ho buttata via in un cassonetto». In un cassonetto non precisato dice di aver buttato via anche il suo telefonino, non quella sera. Gli chiedono di come si è disfatto dei cadaveri e lui fa mettere a verbale che «li ho caricati in spalla fino alla macchina parcheggiata davanti alla porta».
Cortile buio, con cancello che chiude la vista dalla strada. Benno scende dal secondo piano prima con un corpo poi con l'altro senza incappare in nessuno dei vicini. Li carica nel bagagliaio della Volvo di famiglia, quella che loro non volevano che usasse mai e che era uno dei motivi frequenti di litigio.
Alla ragazza dalla quale andava a dormire, quella sera, aveva detto «vengo in macchina» e non è un dettaglio da niente. Come poteva prevedere di disporre dell'auto che non gli lasciavano mai usare al punto da nasconderne le chiavi? A cosa le è servita l'acqua ossigenata comprata dopo il delitto? gli chiedono. E lui spiega che «dopo aver buttato via i corpi avevo già pulito casa ma volevo pulire meglio, volevo essere sicuro».
Acqua ossigenata per cancellare le tracce eventualmente lasciate sul pavimento anche se i Ris di Parma hanno poi comunque prelevato da casa molti campioni biologici che però sono ancora da esaminare. Quella sera Benno carica i corpi in macchina e poi incontra un vicino di casa che lo vede trafelato, strano.
«Ho finto di aver appena terminato di allenarmi» ha ricostruito nell'interrogatorio. La confessione è avvenuta in due parti, nell'arco di quasi un mese. La prima volta che ha incontrato i magistrati Benno ha semplicemente ammesso che «sì, è vero: li ho uccisi io e li ho buttati nell'Adige».
Lui non è sceso nei dettagli e loro non hanno insistito con le domande, cosa che invece hanno fatto con il secondo interrogatorio. Solo che fra il primo e il secondo colloquio in carcere ha avuto tempo e modo di leggere le carte dell'inchiesta e quindi ci sono diversi passaggi, nella sua confessione, che suonano come un tentativo di ridurre al massimo i danni giudiziari. Sulla premeditazione dell'omicidio della madre, per esempio. Lui dice che lei è arrivata «quand'era appena successo», il che escluderebbe la premeditazione. Ma il punto non coincide con la ricostruzione dell'accusa.
E non è detto che non si possa dimostrare la pianificazione del duplice delitto, sospetto che nasce se si mettono in fila alcuni dei particolari raccolti dalle indagini. Per cominciare la storia della Volvo che lui, stranamente, sapeva di poter usare quella sera. Ma anche il fatto che ha buttato via il suo cellulare. Perché? Cosa poteva rivelare? E ancora: come mai a scuola, dove faceva supplenze di matematica, aveva chiesto di allungare le vacanze di Natale di quattro giorni? Non è detto che le sue ammissioni siano il capitolo finale di questa storia.
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