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VIDEO - TRAILER DEL DOCUMENTARIO "JIRO DREAMS OF SUSHI"
Gemma Gaetani per “Libero Quotidiano”
«In origine, il sushi era venduto nei chioschi di strada. A New York si incontrano ancora. E il sushi veniva preparato in un unico modo», racconta il critico gastronomico Masuhiro Yamamoto in Jiro, l'arte del sushi, docufilm del 2011 ora visibile anche su Netflix e dedicato al maggiore shokunin, cioè maestro chef sushi, del mondo, Jiro Ono.
Sukiyabashi Jiro, il ristorante dell' ora ottantunenne Jiro, ha soltanto 10 posti a sedere - al bancone, il bagno è esterno, si prenota con almeno un mese di anticipo, si mangia solo spettacolare sushi preparato al momento sotto i propri occhi, in un percorso di una ventina di assaggi secondo disponibilità del pesce (che Jiro acquista ogni giorno al vicino mercato di Tsukiji, bellissimo e anch' esso visibile nel film).
Nel 2008, questo vero e proprio tempio del sushi è stato consacrato dalle tre stelle della Guida Michelin. Il film, che permette di vedere il microristorante di Tokio anche a chi non potrà mai andarci, e di emozionarsi come se ci fosse veramente dentro, rende appieno l'atmosfera quasi sacrale del posto e, soprattutto, della concezione del sushi secondo Jiro.
Per fortuna, l'ha tramandata al primogenito Yoshikazu, che lavora con lui e alla sua morte, secondo tradizione, erediterà il ristorante e il ruolo di chef, e al figlio minore Takashi che gestisce Jiro Roppongi, sempre a Tokio. Il «sushi secondo Jiro» è un'arte ed è il «vero sushi».
Fatto di materie prime di estremo e costoso livello (da Jiro si mangia a partire da 300) che lo chef sceglie e prepara con cura maniacale: il polpo si massaggia anche 50 minuti perché diventi più morbido; il tonno è di tre tipi (o-toro, grasso, chu-toro, medio, akami, magro) e viene fatto stagionare da tre giorni a dieci. Avete presente come un orafo maneggerebbe l'oro?
Così fa Jiro. Il sushi per lui è amore che si muove tra filosofia e mistica. È, in sostanza, l'esatto contrario di certo sushi occidentalizzato. L'idea che per mangiare la vera cucina di un luogo bisogna recarsi lì, nel caso del sushi è ancora più vera e Jiro lo conferma. È anche vero che se Maometto non va alla montagna è la montagna che va da lui.
Pochi «non giapponesi» - quelli che i giapponesi chiamano gaijin - hanno la fortuna di poter andare a mangiare solo il sushi di Jiro, e noi dunque ci dobbiamo accontentare della montagna che va da Maometto. Non c'è, in effetti, parola più adatta di «montagna» per indicare le mastodontiche quantità di sushi ormai disponibili in Italia, soprattutto presso gli «all you can eat», ristoranti giapponesi solitamente gestiti da personale cinese che vendono più un'idea di giapponesità culinaria che una realtà. Sono circa 400 solo a Milano ma, come spesso ripete Annalena de Bortoli dell'Associazione italiana ristoratori giapponesi, quelli davvero nipponici, in tutta Italia, sono appena cinquanta e meno di venti a Milano.
La quantità che si ingolla di questo tipo di sushi (molto più industriale che artistico) è inversamente proporzionale alla giapponesità effettiva del sushi, per esempio, di Jiro. Il tipico pesce crudo sulla pallina di riso in stile nipponico è un' arte, che si svolge secondo rituali antichissimi e lenti (anche nell' apprendimento). Vige ancora, in Giappone, un tradizionalismo che riguarda anche il sesso dello chef.
La Tokyo Sushi Academy ha aperto da poco un programma per donne: fino a qualche anno fa non potevano lavorare oltre le dieci sera e ciò impediva loro la professione di chef. Ha fatto notizia il primo ristosushi tutto femminile di Tokio, Nadeshiko - sempre nel quartiere Ginza, come Jiro, aperto da Yuki Chidui. Il sushi fuori dal Giappone si è biforcato nella prelibatezza per gourmet e nello snaturamento per globalizzati modaioli.
Perché mangiamo tanto sushi? Perché è un cibo sano. Del resto, è pesce crudo con riso: niente di meglio per non ingrassare. Ed ecco che allora tutti lo cercano e tutti lo vogliono. Ma perché deturparlo? Al peggio non c' è mai fine, dunque speriamo che il maestro Jiro non abbia mai notizia della recentissima moda del «sushiburger» che annienta ulteriormente la reale tradizione della cucina giapponese.
Mix tra il panino con hamburger statunitense e il sushi, impazza su Instagram e si prepara formando col riso le due metà di panino. L' orrore assoluto è quello che all' interno non ha nemmeno il pesce, ma un hamburger o, peggio, un «companatico vegano» di verdure. Più che sushiburger dovrebbe chiamarsi sushisterminio, perché rade al suolo anche le bacchette, con cui si mangiano sushi, sashimi, maki e perfino gli udon, il sukiyaki eccetera. Jiro, nel film, dice: «In sogno vedo nuovi modi di fare sushi». Quelli a cui stiamo assistendo noi si localizzano nell' incubo.
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