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Marco Bresolin per www.lastampa.it
L’Italia ribadisce il suo «no» alla riforma europea del copyright. Il governo ha votato contro il testo approvato la scorsa settimana dal tavolo negoziale tra le tre istituzioni Ue. Ma non è bastato, visto che la proposta ha ottenuto la maggioranza al Coreper, l’organismo che riunisce i rappresentanti permanenti dei 28 governi.
L’Italia si è unita all’Olanda, alla Polonia, al Lussemburgo e alla Finlandia per contestare il compromesso raggiunto con il Parlamento europeo che «non rappresenta il giusto equilibrio tra la protezione dei titolari dei diritti e gli interessi dei cittadini europei e delle imprese». I cinque Paesi, minoranza che non si è rivelata di blocco, hanno scritto una nota congiunta per sottolineare «il rischio di ostacolare l’innovazione piuttosto che promuoverla e di avere un impatto negativo sulla competitività del mercato unico digitale europeo».
Non solo, secondo i governi contrari la direttiva «manca di chiarezza giuridica» e «potrebbe violare i diritti dei cittadini europei». Anche la Germania è parsa fino all’ultimo titubante, con il governo diviso al suo interno: il ministro della Giustizia si era detto contrario, ma alla fine Berlino ha detto sì.
Sono due i punti della riforma contestati da chi si oppone, gli articoli 11 e 13. Il primo – volgarmente detto «link tax», anche se non si tratta di una tassa – è stato introdotto per proteggere gli editori, che potranno chiedere ai motori di ricerca e agli aggregatori di notizie di pagare per gli articoli condivisi sulle loro piattaforme. Sarà possibile la libera riproduzione di singole parole e di estratti molto brevi, diversamente andranno pagati i diritti d’autore.
L’articolo 13 obbliga invece i siti web e le applicazioni a dotarsi di un sistema in gradi di «intercettare» i contenuti caricati online dagli utenti in violazione del copyright. Per le società destinatarie del provvedimento si tratta di una responsabilità «troppo onerosa». Le ultime modifiche che hanno portato all’accordo puntano a escludere le start-up: saranno infatti escluse da questo obbligo le società con fatturato annuo inferiore ai 10 milioni di euro, con meno di 5 milioni di utenti unici mensili e con meno di tre anni di vita.
Ora il testo dovrà essere votato dalla commissione affari giuridici dell’Europarlamento il prossimo 26 febbraio, dopodiché – tra marzo e aprile – finirà in plenaria per il via libera definitivo.
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