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“CARI PAPA’ BASTA CON IL PADEL, LA BUONA FAMIGLIA GIOCA A SHANGAI” – LO PSICHIATRA PAOLO CREPET, FORSE STORDITO DAI COLORI DEI SUOI MAGLIONI, SE LA PRENDE CON I PADRI DI MEZZA ETA’ CHE GIOCANO A PADEL “PER ESSERE ANCORA PIÙ GIOVANI DEI FIGLI ADOLESCENTI. CI PIACE VIVERE A VELOCITÀ IPERSONICA SENZA SAPERE DOVE ANDIAMO”. MA PERCHÉ IL RIMEDIO SAREBBE INFLIGGERSI LA TORTURA DI GIOCARE A SHANGAI? “PERCHÉ NON PUOI GIOCARE E MANDARE I MESSAGGINI” (NEANCHE A PADEL, SE PER QUESTO)…” 

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Candida Morvillo per corriere.it -Estratti

 

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Professor Paolo Crepet, lei il primo dicembre porta al teatro degli Arcimboldi «Il reato di pensare»: Milano ha ancora voglia di pensare?

«Non mi sembra. Io ho conosciuto le Milano della musica, della moda, del design… Ma, ultimamente, mi annoio: mancano i graffi, le scoperte, come quando apparì Elio Fiorucci o il Capolinea sui Navigli coi primi grandi del jazz negli Anni 70».

 

Che verrà a dire alla Milano dei grattacieli e del design, e però anche a quella delle baby gang dal coltello facile?

«Queste due facce fra Qatar e maranza sono speculari, con un anello che le congiunge: più si esasperano le differenze e più cresce la frustrazione. Per questi ragazzini il futuro è un grattacielo dove forse vive un calciatore e in cui non entreranno mai. E allora loro che fanno? Una volta, ne avrebbero inventato un altro, oggi no. Io con don Gino Rigoldi ho conosciuto bene la periferia milanese, che però era anche speranza. Adriano Celentano parlava di quella periferia lì, Giorgio Gaber ha dato speranza a quei giovani lì».

 

Milano è un po’ l’epifenomeno di questo Paese? E se lo è, cos’altro la rende tale?

«La mancanza di cultura. Milano è stata la sua straordinaria Casa della Cultura, di cui era presidente il mio amico Cesare Musatti, decano della psicanalisi italiana».

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Nello scontro mostruoso di viale Fulvio Testi, entrambi i guidatori erano positivi ai pre-test per droghe. Com’è possibile?

«Le droghe hanno successo perché i giovani che non pensano fanno comodo al potere e persino ai genitori che danno la paghetta. Ci stupiamo che questi siano “figli di buona famiglia”, ma che significa “di buona famiglia” se non che diamo valore solo ai soldi? Oggi, la buona famiglia è quella dove papà, coi jeans strappati a 48 anni, va a giocare a padel. Questa è una buona famiglia? La buona famiglia gioca a Shangai».

 

Che ha contro il padel? E perché preferisce lo Shanghai?

«Ma perché a 48 anni giocano per essere ancora più giovani dei figli adolescenti. Ci piace vivere a velocità ipersonica senza sapere dove andiamo. Quel Suv a 150 all’ora è il ritratto del nulla, perché: primo, nessuno andava da nessuna parte; secondo, il Suv è il sogno imperfetto di una borghesia che non riesce più a crescere. Cosa c’è dopo il Suv? Un camion?».

 

Perché il rimedio è giocare a Shanghai?

«Perché non puoi fare Shanghai e mandare i messaggini. Lo Shanghai è un tempo senza fretta, in cui non corro dall’altra parte della città per bere sette drink».

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Un tempo, Milano era la capitale morale. Adesso cos’è?

«La capitale confusa. Non sa bene dove andare. Io l’ho frequentata tanto con Oliviero Toscani, nelle trattoriacce dove parlavamo sempre di progetti, cosa impossibile nei locali assordanti di oggi. Ricordo tante serate con Fiorucci che ci raccontava delle bellezze della New York anni 60 -70:

 

ero giovane e imparavo tantissimo, perché c’era il tempo per imparare. Il miracolo che farò agli Arcimboldi saranno le persone che stanno un’ora e mezza ad ascoltare me che sto seduto, non giro neanche sul palco. La gente paga il biglietto per fare una cosa che nessuno fa mai, perché nessuno sta un’ora e mezza ad ascoltare sua moglie».

 

Altri milanesi amici che sono stati esempio di indipendenza di pensiero?

«Ho abitato per un periodo vicino ad Alda Merini, sul Naviglio. Andavo a trovarla attraverso il cavallo di Troia di un farmacista che le portava le medicine. La sua casa piena di fumo, sembrava la prima scena di C’era una volta in America. Lei: carattere impossibile.

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Era zero glamour, non cercava l’applauso. Era dolore puro: il dolore che le avevano inflitto gli anni in manicomio, gli anni del silenzio, la fine dei suoi amori. Aveva però una rima sarcastica, per me, assolutamente sexy. Mi disse: “Guarda che anche l’angoscia è creativa”. Quella frase mi ha aperto gli occhi. Infatti, Milano diventa decadente se vuole rincorrere la perfezione. Tutto ciò che è perfetto è noioso: dalla moda all’arte, alla tecnologia».

 

Perché se ne andò da Milano?

«Mi mancava l’ironia romana. Adesso, manca abbastanza anche a Roma».

 

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