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IL SABBA DEL COLLATINO - PRIMA DI TENTARE IL SUICIDIO, MARCO PRATO SI INGOZZO’ DI AMARO LUCANO E FARMACI E SCRISSE ALCUNI MESSAGGI DI ADDIO: “HO SCOPERTO COSE ORRIBILI DENTRO DI ME E NEL MONDO. NON INDAGATE SUI MIEI RISVOLTI TORBIDI” - L’ACCANIMENTO DI FOFFO SU LUCA VARANI

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Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera - Roma”

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Frasi scolastiche e quasi impersonali. Voleva andarsene com’era vissuto Marc Prato: ambiguo, indecifrabile ma in fondo autoassolutorio. A circa sei mesi dall’omicidio del Collatino - un sabba di droghe, sesso e violenza con una vittima sacrificale: il ventiduenne Luca Varani - spuntano i messaggi che uno dei due omicidi, Prato, avrebbe scritto prima di tentare (senza riuscirci) il suicidio.

 

«Sto male o forse sono sempre stato così - si legge in un caso - ho scoperto cose orribili dentro di me e nel mondo. Fa troppo male la vita». Oppure: «Non indagate sui miei risvolti torbidi non sono belli».

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Non manca l’addio ai genitori: «Mamma e papà vi amo e vi ho sempre amati, non ho rancore o rabbia, solo amore per voi». E ancora: «Non avete nessuna responsabilità, nè avete fatto nulla per essere complici dell’autolesionismo. Cercate di essere sereni, amatevi e non sentitevi mai in colpa».

 

Un po’ scialbe magari, ma la difesa ora cercherà di spendersele nel migliore dei modi, specie dopo l’incidente probatorio, che, alla luce degli esami tossicologici e genetici, ha rivalutato il gesto del giovane Prato: il suo fu un autentico tentativo di suicidio. Vale la pena di tornare a quel giorno allora, venerdì 4 marzo scorso.

 

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La scena si svolge nella stanza di un hotel nei pressi di piazza Bologna dove Prato è solo (e dove il 6 ottobre si svolgerà un nuovo sopralluogo degli investigatori). Manuel Foffo lo ha lasciato e di lì a poco confesserà tutto al padre in un misto di disperazione e calcolo per alleggerire la propria posizione. Prato si sente un sopravvissuto. Alle spalle ha un’orgia di sesso e violenza all’insegna del «volevamo uccidere, volevamo sapere cosa si prova a fare del male».

 

Davanti a se quattro flaconcini di Minias e uno di En. Nel confermare l’arresto in carcere per l’uno e l’altro, Foffo e Prato, il gip Riccardo Amoroso dirà: «Le modalità raccapriccianti della loro azione omicida, l’efferatezza delle sofferenze inferte alla vittima prima di ucciderla sono indice di personalità disturbate, prive di sentimenti di pietà, e come tali pericolose, e quindi anche in grado di ripetere condotte analoghe, tenuto conto dell’inquietante individuazione della vittima in apparenza scelta a caso e selezionata non è dato ancora sapere in base a quali sue caratteristiche personali correlate all’età, sesso, orientamento sessuale, ceto sociale o altro».

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Dunque Prato quella notte è in compagnia dei suoi stessi fantasmi. Il travestimento da donna utilizzato nel gioco erotico a due con l’amico. Lo stordimento di Varani e l’accanimento di Foffo su di lui («Non voleva morire»). Le coltellate con una lama per il pane e altri taglierini. L’ostinazione di Luca nel voler sopravvivere. Le corde vocali recise. La lama ficcata nel cuore.

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Tutto questo insomma. Prato s’ingozza di Amaro Lucano e farmaci. Che poi in parte almeno vomiterà. Saranno i carabinieri però a salvarlo poco dopo, andandolo ad arrestare. «Chiedo scusa a tutte le persone a cui ho fatto qualcosa - si legge in un altro messaggio - Vi scrivo mentre me ne sto andando ». Il più autentico forse è il saluto alla madre: «Ti ho amata -scrive - ogni giorno della mia vita e non devi pensare nemmeno un secondo ai nostri silenzi, perché per me non sono mai esistiti».

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