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Virginia Piccolillo per il "Corriere della Sera"
Nessun colpo di spugna. Nessuna indicazione a ridurre le pene. Nessun azzeramento del processo. E, soprattutto, nessun rischio prescrizione dei reati. All'indomani della sentenza ThyssenKrupp la Suprema Corte respinge l'onda montante delle proteste dei parenti che con la mamma di Platì accusano: «Ci sentiamo presi in giro: la legge non è uguale per tutti». E dei sindacati che con Susanna Camusso (Cgil) reputano sbagliato «ridurre la portata delle pene».
E invitano a leggere meglio quel dispositivo definito dalle difese «criptico». «Sapevamo che avrebbe potuto generare equivoci, ma è stato dettato dalla coerenza con i principi del diritto penale e non dal singolo caso» Thyssen. Anzi, fanno notare, «le richieste delle difese, come quelle del procuratore generale non sono state ascoltate».
Ma, in sintesi, cosa significa quel verdetto? Sostanzialmente che i sei dirigenti della ThyssenKrupp non possono essere accusati di omicidio volontario con dolo eventuale, malgrado sapessero delle carenze di sicurezza nello stabilimento torinese e non avessero fatto nulla per evitare la possibilità che si sviluppasse un rogo come quello che nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007 arse vivi sette operai.
Era questo il quesito sottoposto alla Corte: fu dolo eventuale, come sostenuto dal pm Raffaele Guariniello, o colpa cosciente? E le Sezioni unite, presiedute dal primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, hanno optato per la colpa cosciente. Vale a dire: i manager non hanno voluto uccidere quegli operai. Piuttosto hanno previsto l'eventualità , ma la morte è stata cagionata da altro che la volontà di uccidere: voglia di risparmiare o disattenzione che sia stata.
Quindi l'accusa resta omicidio colposo, sia pure aggravato da una colpa cosciente. Se fosse passato il principio del dolo eventuale nel caso esaminato dalle Sezioni unite, chiamate a fare giurisprudenza, si fa notare «qualsiasi omicidio stradale provocato per violazioni al codice, o errore medico, sarebbe stato considerato come volontà di uccidere». Un po' troppo secondo i supremi giudici.
Ma insomma le pene devono essere ammorbidite? «No - assicurano dalla Corte -. Le responsabilità penali sono assodate. à scritto nel dispositivo. Sull'aumento o la diminuzione delle pene i giudici non si sono pronunciati. Hanno chiesto solo una rimodulazione».
L'unico punto bocciato, infatti, è l'aver considerato come semplici aggravanti dell'omicidio colposo reati che vanno considerati di per sé come l'incendio e la omissione dolosa di cautela. Il calcolo va rifatto. Decideranno i giudici come. Anche se la diminuzione di pena dell'aggravante, l'aumento dovuto ai singoli altri reati, e l'impossibilità di sforare di molto il tetto delle pene fanno ipotizzare una pena analoga.
Facciamo, ma molto ipotetico, l'esempio dell'ex ad Harald Espenhahn: condannato a 10 anni in Appello per omicidio e incendio colposo, aggravato da colpa cosciente. Con la rimodulazione l'aver omesso dolosamente le cautele, non essendo più un'aggravante, invece che da 1 a 5 anni, potrebbe essere punito con una pena diminuita. Ma potrebbe aumentare la pena per l'omicidio plurimo colposo a 4-5 anni, cui aggiungerne 3 per omissione dolosa di cautele doverose e altri 3 per l'incendio colposo. Il tetto non potrà essere sforato di molto per il principio del divieto di riformare in peggio la sentenza. E si arriverebbe a piccoli ritocchi.
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