DAGOREPORT – MATTEO FA IL MATTO E GIORGIA INCATENA LA SANTANCHÈ ALLA POLTRONA: SALVINI, ASSOLTO AL…
1. UN LAVORO IN CAMBIO DEL SILENZIO LA DOTTORESSA CHE SAPEVA DEI KILLER
Cesare Giuzzi e Roberto Rotondo per il Corriere della Sera
«L' idraulico liquido non ha fatto una cippa . Gliel' ho buttato su apposta». L' infermiera Laura Taroni versava il liquido sgorgante sui pomodori della zia Irma, anziana e sordomuta.
C' era anche lei nell' elenco dei morituri , insieme al cugino Davide, al nonno Angelo e alla madre Maria Cristina Clerici, che oggi è tra le morti sospette della coppia di amanti. E con loro ci sono altri tre pazienti dell' ospedale di Saronno ai quali l' anestesista avrebbe praticato il «protocollo Cazzaniga», un cocktail di farmaci per indurre la morte.
Insieme a nuove morti sospette, spunta l' ombra di un bando creato ad arte per assumere una dottoressa che minacciava di denunciare tutto ai carabinieri. Raccontare che nel pronto soccorso i malati più gravi venivano uccisi dall' Angelo della morte, da Leonardo Cazzaniga, il medico che si credeva dio.
Tutto avviene alla fine di agosto di un anno fa. Una degli indagati, la dottoressa Simona Sangion, si sfoga al telefono con il primario Nicola Scoppetta per il quale il gip ha negato i domiciliari (i pm hanno fatto ricorso al Riesame). «Se io il 24 settembre però non ho un lavoro, io faccio scoppiare un casino! E ho le carte in mano per farlo scoppiare davvero perché adesso sono veramente stanca di essere presa per il c...». A scatenare la rabbia è la scoperta che il suo nome è stato cancellato dal piano turni dell' ospedale perché il suo contratto è in scadenza.
La storia è raccontata nella richiesta di misure cautelari firmata dai magistrati Maria Cristina Ria e Gian Luigi Fontana. La dottoressa Sangion è indagata per falso ideologico in atto pubblico perché sospettata di aver aiutato Laura Taroni a falsificare le analisi del sangue del marito. Quando riceve l' avviso di garanzia, il primario Nicola Scoppetta le suggerisce la linea difensiva da tenere durante l' interrogatorio: «Succede che si faccia una cortesia a un collega e quindi si faccia degli esami al marito anche se non è presente».
Ma la donna è furibonda e rivela che se i vertici ospedalieri non l' aiuteranno avviserà «i parenti dei pazienti morti che un medico del reparto li ha ammazzati». L' interrogatorio è fissato per l' 11 giugno 2015. Due giorni prima l' azienda si muove e la rassicura. Il direttore di presidio Paolo Valentini le manifesta l' intenzione di assumerla, nonostante l' avviso di garanzia.
Il primario Scoppetta la chiama dopo il colloquio: «Stiamo preparando il bando di concorso per rinnovarti l' incarico». Eppure il tempo passa e il 21 agosto la dottoressa torna alla carica. A ottobre viene organizzato un concorso ad hoc, e lei viene assunta. La vicenda non è oggetto di contestazione penale, ma rivela piuttosto un malcostume che, secondo le accuse, serve anche a non far trapelare informazioni e a difendere il nome dell' ospedale.
Nelle carte c' è il ritratto di una coppia di amanti deliranti e spietati. Due ore prima del funerale del marito, l' infermiera trasferisce sulla sua carta di credito 2 mila euro dal conto del suocero morto. È il 2 luglio 2013 e alle 16.54, pochi minuti dopo che la bara di Massimo Guerra esca dalla chiesa parrocchiale, lei acquista sul sito Apple un telefonino iPhone 4s. È l' ultimo di una serie di «regali» che si è concessa: c' è anche un altro smartphone (675 euro) e un iPad (579). «Può considerarsi un dato di fatto che il giorno dei funerali del marito - scrivono i pm -, Laura Taroni si occupava di sottrarre somme dal contro corrente del suocero ed effettuava l' acquisto online di un costoso bene voluttuario».
Che la donna non provasse dolore per la morte del marito, è lei stessa a raccontarlo al figlio di 11 anni. È sempre lei a confidare alla domestica che Massimo Guerra meritasse «quello che ha avuto»: «Mio marito era uno sfruttatore, bastar... Due volte ho preso anche un coltello, gliel' ho puntato alla gola. Ho ringraziato dio quando è morto».
lorenzo cazzaniga laura taroni
Racconta, l' infermiera arrestata lunedì insieme all' anestesista, che il marito la costringeva a pratiche sessuali dolorose e umilianti. Intercettata, arriva perfino a dire che aveva una relazione segreta con sua madre: «Guarda, ho le foto te le farò vedere», confida a un amico.
L' idea di liberarsi anche dei due figli la sfiora in molte conversazioni con il suo amante: «Ho detto che potrei ucciderli per te. Sei l' uomo più importante del mondo».
2. LA SCIA DI VITTIME E I DISCORSI
Andrea Galli per il Corriere della Sera
Nell' ospedale della morte si evita anche di nascere. Le privilegiate che non si fidano, sanno e possono, partoriscono altrove. È così da decenni. Ancor prima degli omicidi dell' anestetista e dell' infermiera; nonostante i novecento parti l' anno; a dispetto della rabbia, in verità spesso soffocata e subìta, dei professionisti perbene. Tanti figli degli anonimi paesi attorno a Saronno - Gerenzano, Caronno Pertusella, Ceriano Laghetto - sono venuti al mondo lontano da qui.
Da questo posto che per dirla con uno storico sindacalista della sanità lombarda è sempre rimasto sotto gli standard della qualità, e che a sentire meno prosaicamente la gente della zona ha un' eterna fama sinistra. Dove bisogna inseguire raccomandazioni perfino per un «day hospital»: si sa mai.
lorenzo cazzaniga laura taroni
Adesso s' infuria la signora della portineria, bava alla bocca maledice i vigili che non cacciano dall' aiuola le telecamere («Ma basta! Via! La storia è chiusa!»); e s' indigna il cortese cassiere del bar dell' ospedale, vicino ai fogli in evidenza con le vincite da gennaio del «gratta e vinci», poche e basse nonostante la raffica di vendite dei tagliandi: «Questo è un ambiente umano e lavorativo molto positivo. Le mele marce sono ovunque ma non bisogna dar loro troppo peso». Vada a dirlo ai parenti degli anziani ammazzati.
Ora dopo questo scandalo criminale si evocherà l' eterna lottizzazione, la «geografia politica» d' appartenenza e di influenza, Saronno provincia di Varese dunque Lega e Comunione e liberazione. Ma così facendo si girerà intorno alle responsabilità individuali. Degli arrestati. Degli indagati. E del «sistema» che li ha coperti. Dobbiamo leggere le carte dell' inchiesta. E riesaminare il percorso della Commissione che venne istituita nell' aprile 2013 dall' Azienda ospedaliera di circolo di Busto Arsizio del direttore sanitario Roberto Cosentina, proprio per far luce sull' operato di Cazzaniga dopo le prime denunce degli infermieri.
Di quel gruppo coordinato da Paolo Valentini, direttore medico dell' ospedale di Saronno, facevano parte Claudio Borgio (responsabile del servizio infermieristico tecnico e riabilitativo), Fabrizio Frattini (direttore del dipartimento di emergenza e urgenza e della struttura di anestesia e rianimazione), Maria Luisa Pennuto (a capo della medicina legale) e Nicola Scoppetta (responsabile del pronto soccorso).
Ebbene «nel corso dei lavori della Commissione non sono stati redatti verbali delle riunioni, non sono stati sentiti gli infermieri segnalanti né altri infermieri che hanno assistito Cazzaniga e non è stata analizzata alcuna documentazione medica ulteriore», è stato omesso di «rilevare gli elevatissimi sovradosaggi di farmaci somministrati ai pazienti deceduti» e infine «contro ogni evidenza scientifica è stato espresso un giudizio di correttezza professionale e deontologica dell' operato di Cazzaniga».
Tace Scoppetta, raggiunto al telefono (sottofondo di un bimbo): secondo l' accusa si mobilitò per impedire le denunce provocando «un ritardo nell' avvio delle indagini». Tace Valentini: «Non ho voglia». Tace Pennuto: «La saluto». Frattini si limita a una frase: «Non c' entro niente ma non è il momento di commentare». A un altro dei medici che compare nelle carte domandiamo come sia possibile questa tremenda omertà: «Non si permetta neanche...
Omertà... Qui si tratta solo di silenzio per rispetto verso le indagini». Eppure in tanti erano a conoscenza e per paura, debolezza e servilismo si erano guardati dal denunciare.
lorenzo cazzaniga laura taroni
Salvo poi, una volta davanti agli inquirenti, cantare a decine. Decine. Ma era troppo comodo. Pur di salvarsi.
Alle tre e un quarto del pomeriggio nella sala d' attesa del pronto soccorso ci sono meno persone che nella chiesa dell' ospedale, una chiesa grande, a due piani; su una sedia è rimasto spiegazzato il foglietto della messa di domenica con le parole di Gesù: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra». Accanto al pronto soccorso c' è la terapia intensiva. Un cartello sulla porta spalancata invita: «Aiutateci a mantenere chiusa questa porta». Su una parete un poster della rocca di Angera. Pulizia sul pavimento.
Ordine nei corridoi. Trovare tracce evidenti per legittimare le negatività dell' ospedale è un esercizio inutile. Bastava ascoltare i muri che parlavano. Come in questa conversazione intercettata il 23 maggio 2015 tra due dipendenti dell' ospedale, Patrizia Paola Erba e Giuseppe Di Lucca (che all' epoca era stato appena sentito dal pm): «Li ammazzava?».
«Sì gli faceva il propofol a endovena». «Oh mamma... ma tu basta?». «No basta, basta». «E secondo te è una terapia eccessiva?». «Ca... l' ha ammazzato, l' ha ammazzato... l' ha ammazzato!». «Ma lui lavora ancora lì?». «L' ha ammazzato!». «Ma non sa che ti hanno chiamato?». «... è arrivato in pronto soccorso... non so cosa... gli ha fatto duecento milligrammi di propofol, venti milligrammi di morfina e sessanta milligrammi di midazolam... gli ha fatto una roba... cioè quella che aveva ucciso Michael Jackson».
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