matteo messina denaro giovanni falcone

DURANTE L’ULTIMO INTERROGATORIO PRIMA DI MORIRE, MATTEO MESSINA DENARO HA LANCIATO UN ‘PIZZINO’ AGLI INVESTIGATORI ACCENNANDO ALLA STRAGE DI CAPACI COSTATA LA VITA A GIOVANNI FALCONE E ALLA SUA SCORTA: “CI SONO COSE, PERÒ, CHE, PER ESEMPIO, NESSUNO È MAI ARRIVATO, PERCHÉ A ME MI SEMBRA UN POCO RIDUTTIVO DIRE CHE A FALCONE LO HANNO UCCISO PER LA SENTENZA DEL MAXI PROCESSO. SE POI VOI SIETE CONTENTI DI CIÒ, BENE VENGA, SONO FATTI VOSTRI, MA LA BASE DI PARTENZA NON È QUESTA...”

Estratto dell’articolo di Lara Sirignano per www.corriere.it

 

matteo messina denaro

Lo «stile» è sempre lo stesso. Piccole aperture, poche ammissioni e molte marce indietro, nessun contributo reale alle indagini. Quel che è cambiato, nell’ultimo interrogatorio di Matteo Messina Denaro , depositato oggi all’udienza preliminare che vede imputata di mafia la sua amante storica, Laura Bonafede, è la consapevolezza di essere ormai alla fine e di non aver nulla da perdere.

 

Una consapevolezza che, però, non gli fa fare il grande passo verso la collaborazione con la giustizia. Nel carcere de L’Aquila, stanco e malato, il 7 luglio scorso il capomafia parla con il procuratore aggiunto Paolo Guido e con i pm Piero Padova e Gianluca De Leo che in più di un passaggio provano a convincerlo a dare un contributo alle indagini, attenti a evitare la parola «pentimento».

 

«Non sono interessato, poi nella vita mai dire mai intendiamoci. Io non sono stato mai un assolutista nel senso che non è che perché dico una cosa sarà sempre quella, io nella mia vita ho cambiato tante volte idea, però con delle basi solide…», risponde non chiudendo completamente la porta. […]

 

matteo messina denaro con montone

[…] Di reale c’è solo il dire e non dire, tratto comune di tutti gli interrogatori resi dopo la cattura. Come quando accenna alla strage di Capaci costata la vita a Giovanni Falcone e alla sua scorta. «Ma ci sono cose, però, che, per esempio, nessuno è mai arrivato, perché a me mi sembra un poco riduttivo dire che a Falcone lo hanno ucciso per la sentenza del maxi processo. Se poi voi siete contenti di ciò, bene venga, sono fatti vostri, ma la base di partenza non è questa...», butta lì.

 

i diari di matteo messina denaro

«Voi siete contentati che il giudice Falcone sia stato ucciso, perché ha fatto dare 11 ergastoli? Perché di 11/12 ergastoli si trattava, nel maxi-processo, credo, ma credo che questi siano...», insiste insinuando moventi complessi che poi, però, non spiega. «Sono alla fine della mia vita, ma il punto è io non sono il tipo di persona — e mi creda — che è la verità, non me ne può fottere più niente. Non sono il tipo di persona che vengo da lei e mi metto a parlare dell’omicidio, per rovinare a X, Y, non ha senso nel mio modo, mi spiego??», dirà in un altro passaggio dell’interrogatorio.

 

laura bonafede matteo messina denaro

Dell’arresto, invece, il boss parla senza remore. E fa autocritica dicendo che, dietro alla fine della trentennale latitanza, c’è un suo errore: aver parlato della malattia con la sorella Rosalia. «Perché gliel’ ho detto? Non volevo farmi trovare morto e nessuno in famiglia sapeva niente. Che senso ha? E allora per tenermi riservato cosa faccio? Lo dico solo a una persona», spiega. Sarà poi un pizzino trovato dai carabinieri nella sedia in casa della donna, una sorta di diario clinico sulle condizioni di salute del capomafia a dare input alle indagini. «Mi avete preso per la malattia o per un errore mio, dirlo a mia sorella», insiste.

 

MATTEO MESSINA DENARO

Nel lungo interrogatorio per la prima volta poi Messina Denaro ammette la sua mafiosità: «Sono, diciamo tra virgolette, un mafioso per come mi considerate voi un poco anomalo, non mi sono inimicato nessuno nel territorio, intendo il mio paese. Chiunque mi vuole bene. Lei stamattina pensava di trovare un Rambo, invece non ha trovato niente», dice parlando delle sue condizioni fisiche […]

 

E con l’aria di sfida che non ha mai perso dice senza esitazioni di essere stato «un uomo libero» nonostante la latitanza raccontando di visite mediche e tatuaggi fatti mentre era ricercato. «Che vita facevo a Palermo? Libero come quella di Campobello […]». […]