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Paolo Di Stefano per il Corriere della Sera
«Non chiederei poi molto... vedere il mio cucciolo». Così scriveva su Facebook, il 28 febbraio scorso, un padre. Il «cucciolo» era suo figlio, che non aveva ancora compiuto i nove anni e viveva a Napoli con la madre dopo la separazione dei genitori avvenuta nel 2012. L' uomo, quarantatreenne, abitava da solo in provincia di Firenze e come tanti padri cui è stato negato l' affido condiviso soffriva da tempo la lontananza dal «cucciolo» e forse non aveva accettato il divorzio.
Così sabato, dopo aver preso con sé il bambino all' uscita della scuola, ha affittato una Polo e si è diretto verso Nord, mentre l' ex moglie, non vedendolo tornare all' orario stabilito, denunciava il rapimento del piccolo.
Si suppone che l' uomo abbia girovagato in macchina per tutta la notte in compagnia del figlio, ma quel che è certo è che domenica mattina è arrivato a Montecatini Val di Cecina (vicino a Volterra), ha parcheggiato l' auto in Piazza 25 Aprile, si è disteso sul sedile posteriore con il bambino e ha aperto il gas di una bombola che aveva portato con sé.
Il piano fallito a metà Il piano del doppio «suicidio» per soffocamento, però, è riuscito a metà. Infatti, mentre il padre si è addormentato per sempre, il bambino, dopo aver tentato inutilmente di rianimarlo, ha avuto la prontezza, chissà quanto disperata, di aprire una portiera e di fuggire per chiedere aiuto ad alcuni residenti della zona.
Nell' auto i carabinieri hanno trovato, oltre al corpo senza vita dell' uomo, una lettera di quattro pagine in cui il padre cercava di spiegare il gesto che avrebbe dovuto coinvolgere anche il bambino.
In quel gigantesco diario in pubblico che è Facebook, il genitore, tra tante fotografie che lo ritraevano con il suo «cucciolo», qualche settimana fa aveva scritto un messaggio in cui lamentava di non poter neanche leggere la pagella del bambino benché l' avesse chiesta, aggiungendo che in passato per poter conoscere i voti aveva dovuto chiedere l' intervento del giudice.
Le richieste banali Il che rivela il paradosso che probabilmente quel padre, anche per godere dei diritti più banali, aveva dovuto combattere battaglie legali impensabili. L' ultimo post risale a sabato mattina, quando l' uomo aveva preso il treno a Santa Maria Novella per raggiungere il figlio e trascorrere con lui la giornata che gli spettava.
Tra i delitti familiari ci sono i femminicidi e ci sono i «figlicidi» (che sono «solo» una parte degli infanticidi): si indaga, giustamente, molto sui primi (i maltrattamenti subìti dalle donne) e pochissimo sui secondi, troppo spesso relegati nell' area dell' indicibilità compassionevole collettiva degli adulti «normali». Questa volta, per fortuna, la vittima designata è riuscita a sottrarsi all' intenzione paterna di trascinare nel proprio delirio autodistruttivo anche la prole, com' è accaduto pochi giorni fa a Trento, dove un uomo ha ucciso a martellate i suoi piccoli di 2 e 4 anni.
Al netto del sacrosanto desiderio paterno di vedere il figlio con regolarità e senza ignorare la difficoltà (e le lacune) della giustizia nel valutare le nuove sensibilità dei padri, la vicenda di Volterra è il segno evidente di una disperazione accecante che nasce dalla fragilità spaesata dell' identità paterna e insieme da una forma di narcisismo megalomane: ritenere un figlio parte di sé al punto da decretarne la tua stessa fine a eterno riparo dai soprusi (veri o presunti) del mondo.
La contemporaneità ha esteso ai padri la pretesa arcaica (e mitologica) del «possesso totale» di cui erano depositarie le madri-Medee. Considerare l' eliminazione del «cucciolo» come un effetto secondario (e inevitabile) del proprio suicidio: pensare che la vita di tuo figlio non abbia alcuna ragion d' essere in tua assenza. E già pensare un figlio di 9 anni come tuo «cucciolo» rivela qualcosa di immaturo e lievemente inquietante: tra tenerezza materna e relazione animale.
Niente di tutto ciò, in realtà, visto che il «cucciolo», non essendo affatto un cucciolo, ha capito e si è messo in salvo.
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