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Marianna Rizzini per “il Foglio”
L’indagato appare in un video sul web (data: gennaio 2014), su sfondo di finestra, computer, libri. Ha il volto rugoso e la barba bianca. La sua voce sembra uscita da un vecchio disco rovinato dai troppi giri; le sue parole provengono dalle catacombe della storia non gradita del Novecento (l’indagato parla di “falsa conoscenza”, “controffensiva”, “Duce”, “mutevole realtà” e dice ai “camerati” fantasmi che lo ascoltano che non è più tempo di “resistenza”, ma di “agire, agire, agire”).
Poi l’indagato, Rutilio Sermonti, fratello dello scrittore e dantista Vittorio e del genetista anti darwiniano Giuseppe – Rutilio l’uomo di novantatré anni (quasi novantaquattro) – sorride e dice quello che dicono, a un certo punto, tutti i vecchi che hanno molto vissuto: che lui non ha paura di morire (chiama la morte “congedo illimitato”), che gli basta vedere che i suoi “camerati” (o seguaci o giovani amici) hanno “gambe e braccia buone” per fare qualcosa e per dare a lui, che è in sedia a rotelle e sordo al punto da non poter più esercitare la professione di avvocato, “un lampo di luce”.
LUDOVICA RIPA DI MEANA VITTORIO SERMONTI
Quasi un anno dopo, il sospetto che pende sull’indagato è pesante: essere il punto di riferimento ideologico (uomo che “incita all’offensiva”) degli esponenti di un’associazione clandestina neofascista accusata di voler “sovvertire l’ordine democratico dello stato” (nome: Avanguardia ordinovista), ieri decapitata con un blitz antiterrorismo dei Ros con quattordici arresti (quarantaquattro gli indagati).
L’associazione, dice l’accusa, voleva far saltare in aria come birilli “dieci, undici” magistrati o politici più una sede di Equitalia (con i dipendenti dentro), colpire una questura, forse una prefettura, dissotterrando armi della Seconda guerra mondiale o procurandosele con rapine, in vista della costituzione di un nuovo “stato repubblicano fascista”, per cui l’indagato Rutilio aveva già scritto una Costituzione, dopo aver spedito a nostalgici fascisti come lui un “testamento spirituale”, in cui dice che “l’eroe” non è uno che “non si allaccia le scarpe”, non “paga il telefono” e “non incassa lo stipendio”, ma uno “che spezza i vincoli” che “lo legano alla grigia materialità del quotidiano” (per fare che cosa è materia d’indagine, appunto).
LUDOVICA RIPA DI MEANA VITTORIO SERMONTI
Rutilio, dice chi, tra gli ammiratori e seguaci, in questi anni l’ha frequentato durante i festeggiamenti per il Solstizio d’inverno, vive di nulla (gli amici facevano sottoscrizioni in bar e birrerie nelle zone più remote del Lazio e dell’Abruzzo – “un concerto più un aiuto per Rutilio”). Rutilio, dicono, ha fatto indispettire una prima moglie per la durezza della vita campestre cui si è sempre sottoposto per via della fede ecologista. Da ragazzo, durante la Seconda guerra mondiale, Rutilio si era arruolato volontario nell’esercito regio. Poi, dopo l’8 settembre, aveva aderito alla Repubblica di Salò.
E non aveva mai dimenticato, ha raccontato al Resto del Carlino, il giuramento di “fedeltà al Duce”. Lì è rimasto. Non si è più mosso, neanche quando, da studioso di zoologia, pittore e scultore, dipingeva tigri, ghepardi ed elefanti per il museo dello zoo di Roma, e neppure quando costruiva dinosauri in vetroresina e squali blu per musei di altre città. Scriveva libri sulle corporazioni e manuali per il combattente nostalgico. Che cosa sia successo davvero lo dirà l’indagine.
Si vedrà anche se Rutilio usasse così tanto il web, per gli inquirenti veicolo di reclutamento e invito all’azione terroristica e per un anziano comunque terreno scivoloso, ché sul web spesso saltano i freni verbali dei giovani, figurarsi dei vecchi. Resta per ora la storia di un reduce, mezza in chiaro mezza in ombra, immobilizzata nel fermo immagine di un Ventennio che per Rutilio continuava a essere modello (aveva contribuito a fondare l’Msi, da cui si era allontanato per sospetta eccessiva morbidezza con la Dc negli anni Sessanta, riavvicinandosi poi in tempi rautiani).
Uscita la notizia degli arresti e dell’indagine sull’associazione neofascista con mire terroristiche, i titoli dei siti d’informazione hanno dipinto Rutilio Sermonti come “ideologo”. Un “ideologo” con una biografia che può essere molto di più o molto di meno: artista, intellettuale, scienziato, ragazzo che si arruola giovanissimo e continua a essere “combattente fascista” in tempi di pace, ma da una prospettiva defilata.
Suo fratello Vittorio, che non lo vede da sette anni, dice al Foglio che non sa se “vada bene” a Rutilio, quella definizione di “ideologo del neofascismo”, ma che, per quanto ne sa lui, gli “sembra discretamente esatta”. Gli risulta “che anche da adulto Rutilio sognasse un Quarto Reich ubiquo e perpetuo”, dice parlando di “quel ragazzo di vent’anni straordinariamente dotato” che Vittorio ha l’impressione “sia rimasto un ragazzo di novantaquattro anni straordinariamente dotato, fedele, fedelissimo ai suoi ideali combattentistici, improntati alla micidiale purezza di qualsiasi estremismo”.
“Che poi mio fratello abbia altre attitudini e prerogative, d’accordo”, dice Vittorio: “Per esempio, abbinando la sua passione radicale per la natura con una notevole capacità artistica ha prodotto modellini di animali (modellini talora ciclopici) francamente sbalorditivi. Ha anche scritto una gran quantità di libri, ma, siamo giusti, chi non scrive libri, se ne scrivo perfino io? D’altra parte, i più ideologicamente onerosi e impegnativi dei suoi non li ho letti. Purtroppo, non mi hanno mai interessato”. Però Vittorio Sermonti ha pronto un suo testo dal titolo provvisorio (“Se avessero sparato a mio fratello”), che prende l’avvio da un episodio lontano: i partigiani gappisti che entrano nella casa di Milano dove stava Rutilio e Rutilio che li fronteggia con astuzia e spavalderia.
“Premetto che il libro non è pronto e non la finisce mai di finire! e che il titolo è puramente indicativo”, dice Vittorio. “Dall’episodio dei gappisti si snoda una lunga e tortuosa storia in cui un fratello primogenito si vota alla più scrupolosa fedeltà al giovane eroe che immagina di essere stato, avendo attraversato impetuosamente poco più che ventenne gli orrori della guerra; e un fratello con otto anni meno di lui ha paura, freme, soffre, almanacca, si spericola, e a un certo punto tradisce gli ideali in cui era cresciuto anche lui e, per così dire, passa dalla parte del nemico (l’autore: io)”.
Vittorio, in questi sette anni di non frequentazione, non ha avuto con Rutilio alcun “contatto diretto”: “Non so di preciso che vita conduca, ma sono sicuro che continua ad attenersi scrupolosamente all’esercizio della povertà. Quanto alla definizione degli inquirenti, non ho letto i dispositivi, dunque non sono in grado di valutarne la congruenza, anche perché seguo molto alla lontana le attività del vecchissimo fratello.
Ma ripeto: il titolo di ‘ideologo’ non credo lo mortifichi”. Vittorio e Rutilio sono cresciuti in una famiglia numerosa: “Eravamo (e siamo) quattro fratelli maschi: lui, dopo quattro anni due gemelli, dopo altri quattro anni io. Prima della guerra io e Rutilio eravamo nella guerriglia domestica accoppiati contro i gemelli, e a cuscinate vincevamo sempre noi (vinceva lui, che per vincere aveva una vera vocazione).
smetto quando voglio pietro sermonti
E ricordo le lezioni di anatomia che mi teneva attraverso la schiuma del sapone da barba: femore, tibia, tarso, metatarso”. “Chi fosse allora mio fratello, come faccio a saperlo”, dice oggi Vittorio, che allora non aveva ancora “un’età a due cifre”. E “chi sia oggi di preciso”, dice, “forse potrei saperlo, ma non lo so.
Certo due vite e due destini si sono tragicamente divaricati”. Della vita adulta di Rutilio, Vittorio ricorda che “si è sposato una prima volta, credo nel ’49”, che “ha avuto due figli (uno lo ha perduto quattordici anni fa)”, che “all’atto” gli risulta “risposato con una finlandese”, con un terzo figlio e che “non vive più a Montecompatri”, ma non sa esattamente dove si sia trasferito. Però, dice, “lui continua a essere mio fratello e io continuo a essere il suo, e mi dà dolore che quel ragazzo bello, intelligente, prepotente e dotatissimo sia implicato in una inchiesta sul terrorismo nero. Naturalmente spero che le sue responsabilità risultino del tutto marginali. Ma questo mi dà dolore lo stesso”.
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