DAGOREPORT - CON UN MINISTRO DEGLI ESTERI (E UN GOVERNO) ALL'ALTEZZA, CECILIA SALA NON SAREBBE…
Antonio Gnoli per ''la Repubblica''
roman polanski gerard depardieu ennio morricone giuseppe tornatore
Alcune sere fa in televisione passavano per l' ennesima volta Per un pugno di dollari. Quando uscì la prima volta era il 1964. Fu un successo clamoroso. Per il regista ma anche per il compositore. Vado a trovare Ennio Morricone, che presto compirà novant' anni, nella nuova casa romana all' Eur, dove si è trasferito. Prima viveva nel centro di Roma. Dalle finestre si vedeva il Vittoriano. Ora si può ammirare il "Fungo".
Erna Sheurer con Ennio Morricone e Giuliano Montaldo
«Non è la stessa cosa, certo. Ma la puzza, il rumore, il traffico di Piazza Venezia erano diventati insopportabili. Mi ricordava il film di Sergio Leone, beh non lo rivedo da tantissimo tempo. Superò ogni possibile previsione di successo. Una sera, in occasione di una cerimonia al Quirinale, Sergio e io fummo invitati a presenziare alla proiezione del film. Alla fine sgusciammo via, con l'aria di chi voleva scappare. Era tardi. Ci guardammo e scoppiammo a ridere: "Ammazza quanto è brutto!", esclamammo quasi all'unisono».
Si è ricreduto a volte per le scelte fatte e le opere realizzate?
«Capita che si abbiano dubbi o ripensamenti. Ora per esempio, sembra che non faccio nulla, ma dentro la testa frulla il desiderio di portare a termine una composizione per archi e due pianoforti. Un pezzo statico all'inizio e poi veloce. Durata tra i 12 e i 13 minuti. Manca però l'introduzione ed è a quella che sto vagamente pensando».
Cosa significa attendere che un' idea arrivi?
ennio morricone con la moglie maria travia
«È come uno strano duello che si affronta con il proprio tempo interiore. Ha presente il ragno nella sua tela? Ecco, io sono lì, immobile ad aspettare paziente che l'idea si avvicini. Che resti impigliata. È in quel momento che la mente si accende».
È un' immagine predatoria.
«Le idee penso siano la cosa più vicina alla caccia: ci nutrono e ci fortificano come la selvaggina l' uomo primitivo. L' aspetto sciamanico in un' idea che nasce è nel passaggio dall' invisibile al visibile».
Qual è il suo rapporto con l' invisibile?
«Di meraviglia, di curiosità, di timore. Credo di essere una persona sufficientemente spirituale. Me lo rimproverò Luciano Salce con il quale ho collaborato a lungo: "Ennio mio", disse, "tu sei troppo spirituale, io però faccio film comici". Mi liquidò, amabilmente.
Ma restammo amici».
Non se la prese?
«Al momento ci rimasi male, poi capii che aveva ragione».
Con Salce fu il suo esordio al cinema?
«Mi chiese una mano per Il federale. Il produttore, era Dino De Laurentiis, disse: "Ma chi è sto Moricone", pronunciando il nome con una erre, "prendiamo uno famoso. Chiama Trovajoli". Salce si impuntò, con un argomento che sapeva di scommessa: " Non è famoso, ma lo diventerà"».
Ma lei, che si era diplomato con Goffredo Petrassi, che c'entrava con il cinema?
«Apparentemente ben poco. Ma avevo lavorato per l' avanspettacolo, la rivista - quella che oggi si chiama musical - e infine mi ero trovato un ruolo come arrangiatore».
Arrangiava cosa?
«Canzoni, alcune ancora oggi sono fischiettate».
La più famosa?
«Forse Sapore di sale. Ma ho arrangiato di tutto: Ciao ciao bambina di Modugno; Il barattolo e Il pullover di Gianni Meccia; Ogni volta di Paul Anka, Se telefonando di Mina. E poi Morandi, Cigliano. Iniziai alla fine degli anni Cinquanta. Dovevo guadagnare e la Rca - allora in grande espansione, guidata da personaggi notevoli, come Vincenzo Micocci e Enzo Melis - mi fornì l'opportunità. Scrivevo i temi musicali spesso di getto, senza starci troppo a pensare».
Grande scuola o tradimento?
«Tradimento perché? Ho fatto quello che mi sembrava necessario. Si impara più dalle umili cose che non dalle grandi».
tullio solenghi ennio morricone quentin tarantino david di donatello
Ma non temeva che dall' ambiente del conservatorio potessero venirle delle critiche?
«Posto che non ero famoso e che comunque mi guadagnavo da vivere onestamente, una certa apprensione l' avevo. Ma siccome viviamo in piccoli mondi si venne a sapere quasi subito che facevo anche musiche commerciali. Questo invece di alimentare la mia ansia me la tolse del tutto. Realizzai che potevo essere me stesso, bravo e competente, affrontando repertori diversi senza dovermi vergognare».
Però lei ha distinto tra musica assoluta e tutte le altre composizioni.
ennio morricone quentin tarantino
«La musica assoluta non nasce su commissione. O meglio non tiene in nessun conto il risvolto commerciale. Cosa che invece accade per la musica dei film. Però col tempo i due poli si sono avvicinati».
Per quanto possano avvicinarsi, resteranno divisi.
«Cosa le devo dire? Quando uscii dal conservatorio volevo dedicarmi esclusivamente alla musica contemporanea. Sotto la guida di Petrassi scrissi vari pezzi. Erano gli anni in cui la musica dodecafonica era passata - grazie a un gruppo ristretto e agguerrito di compositori - a uno sperimentalismo spinto. Ricordo che fui tra i primi ad andare a Darmstadt».
Frequentò i corsi estivi di musica contemporanea?
«Nell' estate del 1958 andai nella cittadina tedesca. Fu un'esperienza contrastante dove a composizioni davvero interessanti, come quelle di Luigi Nono, si alternavano cose stupide tipo pezzi per clarinetto e tamburo».
C' era anche Luciano Berio?
«Sì, anche lui tentava soluzioni nuove. Ma era diverso da Nono. Più aperto alla musica elettronica e in seguito anche al folk. L' anno successivo Franco Evangelisti, che era stato uno degli artefici della Neue Musik, tornò dalla Germania e fondò il Gruppo di Nuova Consonanza al quale partecipai».
La vocazione per quella musica spesso incomprensibile e astratta, dove i suoni erano pianificati dai primi computer, da che cosa le nasceva?
«Immagino da una certa predisposizione al ragionamento matematico. Le combinazioni numerarie, ancor prima che musicali, mi hanno spesso affascinato. Non a caso sono stato un buon giocatore di scacchi».
So di questa sua passione. Ma non so fino a che punto l' ha portata avanti.
«Se non fosse stato per la musica, forse avrei intrapreso l' avventura degli scacchi. Fin da piccolo mi appassionai a questo gioco, mostrando quasi subito delle qualità. La famiglia non aveva grandi disponibilità economiche. Solo immaginare che avrei intrapreso una carriera da scacchista era impensabile. A quel tempo già studiavo musica e mio padre, che spesso mi vedeva chino sulla scacchiera, sbottava, ingiungendomi di farla finita. E io, obbediente, la finii».
Non ha più ripreso a giocare?
«Ricominciai a giocare tardi, verso la seconda metà degli anni Cinquanta, ma non avevo più l' agilità, né l' assimilazione dello studio. Il mio maestro era stato Stefano Tatai, più volte campione italiano. Mi diceva: questo non è un gioco, è scienza!»
Cosa l'affascinava degli scacchi?
ennio morricone con la moglie maria
«È il solo gioco che alla perfezione geometrica unisce una componente di imprevedibilità. Solo il grande campione sa tenere assieme le due cose».
Ha mai giocato contro dei grandi campioni?
«Raramente, ma è accaduto. In un torneo di esibizione a Torino, parlo di almeno una decina di anni fa, incrociai un paio di partite con Boris Spassky. Aveva tenuto a lungo il titolo mondiale fino a quando non fu battuto da Bobby Fischer, in quello che venne definito il "match del secolo". Comunque facemmo le due partite e una finì patta. Con mio grande orgoglio, devo aggiungere. A cena, quella sera, gli chiesi se aveva giocato come fosse in un torneo vero: "Come se avessi davanti Fischer?", mi chiese ridendo. Capii che non si era molto impegnato. Ho anche giocato con Kasparov e Karpov, ma visti gli esiti, sospetto che non furono generosi come Spassky».
C' è relazione tra scacchi e musica?
« Entrambi hanno nella matematica il punto di riferimento. Mi accade, inoltre, di pensare alla musica come penso agli scacchi».
Cosa intende?
« Quando penso agli scacchi lo faccio indipendentemente dalla scacchiera. Le mosse, fino a un certo punto, si succedono nella mia testa. Con la musica uguale. Compongo senza bisogno della trascrizione al pianoforte. Tutto si svolge nella mia testa».
Dalla sua testa sono uscite le bellissime composizioni per i film di Leone.
«Ho fatto musiche per più di 500 film. Non mi piace essere ricordato come il compositore di musiche western. Ho scritto musiche per i più grandi registi e anche per quelli meno noti. Nessuno cita Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, con cui Elio Petri vinse l' Oscar. E i film con Bernardo Bertolucci? Quelli con Pasolini? E le musiche di Sacco e Vanzetti, che grazie a Joan Baez hanno fatto il giro del mondo? Tornatore con Nuovo Cinema Paradiso? E poi: Don Siegel, Brian De Palma, Terrence Malick».
Si fa prima a dire con chi non ha lavorato. C' è qualcuno con cui avrebbe desiderato collaborare?
«Sicuramente Stanley Kubrick. Mi telefonò dicendo che voleva affidarmi la colonna sonora di Arancia meccanica. Disse che aveva molto apprezzato le musiche di Indagine ».
Lei rifiutò?
« No, ne parlammo e mi chiese di andare a Londra per realizzarle. Io non avevo granché voglia di spostarmi. Oltretutto, stavo lavorando alle musiche di Giù la testa. Insomma fu un' occasione mancata. E le confesso che un po' mi dispiace».
Anche "Giù la testa" fu un altro grande successo. Come sono stati i rapporti con Sergio Leone?
« Quando lui venne da me la prima volta per offrirmi Per un pugno di dollari lo guardai pensando: ma questo dove l' ho visto? Aveva un' aria familiare e improvvisamente ricordai che era stato compagno di classe alla terza elementare. I nostri rapporti furono quasi da subito improntati all' amicizia. Anche se rischiarono proprio all' inizio di guastarsi. Pretendeva che nella scena finale del film inserissi il Deguello. Fu talmente insistente che abbandonai il film».
Come andò a finire?
« Sergio ci ripensò. Disse: " Mo' che t' ho ritrovato come compagno de classe non me va de perderti nuovamente". La sera che c' eravamo riconosciuti andammo a mangiare da "Checco al Carrettiere", il proprietario era stato anche lui un nostro compagno di classe. Ecco, tra noi fu un intreccio di amicizia vera e altissima professionalità. E quando Sergio è morto ho sofferto molto perché in un solo colpo avevo perso un fratello e un maestro».
Però lei non vuole essere ricordato per i film che ha girato con lui.
«Ho fatto, mi pare, una trentina di western, tra cui sei o sette con Leone. Poi c' erano Sollima, Corbucci, Tessari e altri. Ma il cinema non si esauriva con quel genere lì».
Quentin Tarantino li ha elevati a grandi registi.
«Ha un modo tutto suo di rileggere il cinema. È geniale: fa cinema attraverso il cinema. Solo in pochi se lo possono permettere».
Ammira le sue musiche. Eppure lei ha impiegato molto tempo prima di decidersi a collaborare con lui.
«Aveva già usato le mie composizioni. Le inseriva nei suoi film.
Hateful Eight - Jennifer Jason Leigh
Ero gratificato ma anche spaventato di impegnarmi per una collaborazione più diretta».
Perché?
«È imprevedibile nel modo di utilizzare la musica. Inoltre pensavo: visto che tu peschi già nel mio repertorio continua a farlo. Era tutto più semplice, meno stressante. Poi ho ceduto. Per The Hateful Eight ho scritto dei brani».
Cosa le ha fatto cambiare idea?
« Tarantino venne a Roma personalmente per incontrarmi. Mi ha portato la sceneggiatura del film, è stato adorabile e insistente.
Alla fine gli ho detto: d' accordo, a patto che non sia un western!
» Ma è un western.
«È qualcosa di più universale. Sotto la foggia dello stile western c' è il dramma scespiriano».
Le sue musiche ormai popolarissime sono state spesso utilizzate da band rock molto importanti. Come vive questa forma di riconoscimento?
« Mi diverte sapere che sono fatto oggetto di un certo culto musicale. Lo dico senza alcuna vanità. Ma sapere che Bruce Springsteen spesso inizia i suoi concerti suonando un tema da C' era una volta il West mi fa molto piacere».
È vero che i Dire Straits le hanno dedicato un brano?
«Me lo confessarono durante un pranzo, una volta che vennero a Roma per un concerto. Sono trascorsi parecchi anni».
Ne sta per compiere 90, come li festeggerà?
« Festeggerò sul podio di Santa Cecilia a Roma con un concerto di musiche mie ma non solo mie il 27 settembre. Tutto il resto vorrei che mi fosse risparmiato. Noi vecchi camminiamo su un filo, ma non siamo equilibristi. Siamo solo vecchi».
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