LA LIBERAZIONE DI CECILIA SALA È INDUBBIAMENTE UN GRANDE SUCCESSO DELLA TRIADE MELONI- MANTOVANO-…
Alessandro Fulloni per il “Corriere della Sera”
Claudio Pinti e Giovanna Gorini
Era sieropositivo, ma ebbe rapporti con decine di donne senza avvertirle della sua malattia. Una, Giovanna Gorini, madre di sua figlia, morì nel giugno del 2017. Adesso «l'untore seriale» Claudio Pinti, condannato in secondo grado a 16 anni e 8 mesi per omicidio volontario e lesioni gravissime, è uscito dal carcere per ritrovarsi a casa, ai domiciliari. Giovedì ha lasciato il penitenziario di Rebibbia, a Roma, e ha fatto ritorno nell'abitazione dei genitori a Montecarotto, nell'Anconetano, dove venne arrestato il 17 giugno 2018.
Sta male e deve curarsi, è stata la richiesta dell'avvocato difensore Massimo Rao Camemi. Che è stata accolta dalla Corte d'Assise d'Appello di Ancona: ridimensionata la misura cautelare, per Pinti è partito il nulla osta per gli arresti domiciliari con il dispositivo elettronico.
La Procura generale delle Marche si è appellata e deciderà il Riesame. Ma ora lo scenario che si prospetta è surreale. Pinti, camionista, 38 anni, era sieropositivo da almeno dieci, aveva avuto rapporti sessuali senza protezione e, secondo alcune stime, le sue vittime potenziali sarebbero 228, molte delle quali conosciute in chat.
Claudio Pinti e Romina Scaloni
Per curarsi Pinti andrà all'ospedale «Torrette» di Ancona. Qui, però, potrebbe incontrare l'ex compagna Romina Scaloni - anche lei in cura - che lo denunciò dopo aver scoperto la sieropositività, dando il via all'indagine.
La donna è furibonda. La parole pronunciate in un video su Facebook sono pesantissime: Pinti «è quella persona che mi ha fatto tanto male e mi ha distrutto la vita, la stessa persona che ha ucciso una donna di 32 anni, madre della loro figlia, la stessa persona che ha devastato e rovinato la vita di quella bimba...».
Il filmato è stato postato il 4 maggio, «la data del 2018 in cui ricevetti il messaggio da sua cognata che mi confidava la sua patologia. Che se non curata è mortale».
Romina è terrorizzata: «Un detenuto ai domiciliari può avere tante possibilità, tra cui quella di fuggire. Potrei ritrovarmelo qui... Forse i giudici non hanno pensato che l'hanno autorizzato ad andare da solo e liberamente nell'ospedale per curarsi, lo stesso ospedale dove vado io per trattare l'Hiv. In quegli ambulatori ci potremmo incontrare. Tutto questo non è normale, lo trovo inconcepibile, inaccettabile».
Adesso è battaglia legale, come raccontato in questi giorni dal Resto del Carlino e dal Corriere Adriatico. Il 30 aprile è stata la Corte d'Appello ad accogliere la richiesta dei domiciliari presentata dalla difesa dell'uomo. Il presidente Giovanni Trerè ha motivato la decisione spiegando che Pinti aveva abbandonato le sue tesi negazioniste - in aula aveva detto che «l'Hiv non esiste, è una montatura delle case farmaceutiche» - tanto da avere accettato una cura e quindi non ci sarebbe il rischio di reiterare il reato. Per andare all'ospedale sarà sufficiente semmai «comunicare orari di uscita e rientro» all'autorità giudiziaria.
Il procuratore generale delle Marche Sergio Sottani (che ha incontrato gli avvocati delle vittime, Alessandro Scaloni per Romina ed Elena Martini e Cristina Bolognini per i familiari di Giovanna) ha presentato appello al Riesame.
«Non riteniamo incompatibile la permanenza di Pinti a Rebibbia - ha detto il pg -, può essere curato nel carcere». Il Riesame ha una ventina di giorni di tempo per esprimersi. Ma intanto la decisione in Appello resta, perché la richiesta della Procura non ha valore sospensivo. Se venisse bocciata, la difesa è pronta a ricorrere in Cassazione. E nell'attesa di sapere se le porte del carcere torneranno a spalancarsi, Pinti intanto resta a casa.
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