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EURODISNEY, EUROSTRONZY - IL LUNA PARK DI PARIGI PRATICA TARIFFE DIVERSE A SECONDA DELLA PROVENIENZA E I PREZZI PIÙ ALTI SONO PER ITALIANI E TEDESCHI, MAXI SCONTI PER I BELGI - E QUELLO DI DISNEY NON È UN CASO ISOLATO

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Paolo G.Brera per “la Repubblica”

 

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Ehi, commissario Basettoni: Paperino e soci sono diventati razzisti! Provate a prenotare una vacanza a Disneyland Paris attraverso il sito ufficiale, e pagherete il pernottamento una volta e mezza in più di un belga o di un francese. La discriminazione dei clienti in base alla nazionalità è vietata da una norma comunitaria, oltre che dall’etica più elementare. Negozi diversi possono vendere la stessa merce a prezzi diversi, ovviamente; ma accettereste che il commesso alla cassa vi facesse pagare più del tedesco o del francese in fila accanto a voi?

 

A Disneyland Paris succede. Lo ha scoperto il deputato europeo Marc Tarabella, che non solo è capo delegazione dei socialisti ma anche responsabile della tutela dei consumatori. Ieri ha sollevato la questione in seduta plenaria chiedendo una nuova regolamentazione del mercato digitale comunitario. E sulla base delle norme già esistenti, ha chiesto che l’Europa sanzioni gli sfrontati personaggi Disney di Parigi.

 

L’incredibile è che non sia nemmeno un caso unico. «Sono diverse le aziende che utilizzano pratiche discriminatorie rispetto alla provenienza dei loro clienti», dice Tarabella. Ma «Disneyland Paris è in testa alla hitparade perché lo fa in modo evidente a danno di italiani, spagnoli e tedeschi, e a beneficio di francesi e belgi».

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Un paio di notti per una famiglia europea con bambini «costano 865 euro se sei francese o belga, ma per la stessa camera pagherai 1.114 euro se sei spagnolo, 1.204 se sei romeno e addirittura 1.339 se sei italiano», spiega Tarabella mostrando le richieste effettuate — tramite il sito ufficiale ma da Paesi diversi — nel medesimo albergo, il Disney’s Hotel New York. «È un esempio concreto di discriminazione punibile dalla legge». Disnelyland Paris, che abbiamo cercato ieri per un commento, non ha risposto.

 

L’articolo 95 della direttiva del 2006 sui “Servizi nel mercato interno” ribadisce che «l’accesso a un servizio non può essere negato o reso più difficile in base alla nazionalità o al luogo di residenza», e prevede che «tariffe e condizioni variabili» debbano essere «direttamente giustificate da costi supplementari».

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Eppure, la discriminazione è in agguato: «A volte colpisce in modo più evidente e a volte meno, come quando si nasconde dietro il Paese di emissione della carta di credito, il luogo di consegna della merce o l’indirizzo Ip del computer». Siti di abbigliamento online come «Zalando, La Redoute, Asos e altri permettono di acquistare capi a prezzi diversi da un paese all’altro», ma rendono «impossibile acquistare nei Paesi europei in cui è più economico».

 

Nelle boutique in calce e mattoni, due negozi della stessa catena possono vendere lo stesso prodotto a prezzi differenti, ma non possono certo impedire a un cliente di comprare in quello più economico. Online, invece, le frontiere sono intatte e i doganieri inflessibili: per la spedizione, «Zalando ti chiede il codice di avviamento postale» e ti rimanda al sito del paese in cui ti trovi.

 

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«È la prova di quanto siamo ancora lontani da un mercato unico digitale», dice Tarabella, ricordando gli alpinisti bulgari che si videro affibbiare — in Italia — un conto da 2.400 euro a persona per l’elisoccorso mentre i compagni di cordata italiani se l’erano cavata con 800 euro a testa. Far pagare conti salati allo straniero, pratica celebre per tassisti e ristoratori spregiudicati, online è una pacchia raffinata per aziende in doppiopetto: la Ue, spiega Tarabella, scoprì che indipendentemente dal paese europeo in cui si trovassero, per noleggiare un’auto un britannico pagava in media il 53% in più di un polacco o un belga. E obbligò «Europcar, Hertz e Avis» a rimettersi in riga. Ora, pare, toccherà a Topolino.

 

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