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DAGOREPORT - DA IERI SERA, CON LA VITTORIA IN GERMANIA DELL’ANTI-TRUMPIANO MERZ E IL CONTENIMENTO…
VIETNAM BAMBINA BRUCIATA DAL NAPALM
Massimo Sideri per il “Corriere della Sera”
I norvegesi, tra cui la premier Erna Solberg, che postano in massa una delle fotografie più drammatiche e importanti del Secolo breve: quella scattata dal fotografo vietnamita Nick Ut nel 1972 a Kim Phuc, bambina allora di 9 anni che, nuda, grida e piange dal dolore perché colpita dal terribile napalm lanciato dalle truppe Usa. Facebook che la fa sparire, la cancella d' ufficio perché andrebbe contro le «policy» sulla pedopornografia.
Il verbo esatto è la censura, vista l' importanza storica di una fotografia che rimane come un pugno nella memoria di tutti e che peraltro ora, dopo i sospetti di un utilizzo di gas simili al napalm anche da parte della Russia in Siria, dovrebbe tornare a farci riflettere per le possibili altre vittime come Phuc.
Facebook ieri sera ha ceduto alla massa di proteste e ha fatto ricomparire l' immagine iconica in tutti i profili che l' avevano postata. «In questo caso, riconosciamo la storia e l' importanza globale di questa immagine». Per fortuna.
È un caso da manuale per discutere di come Internet sia una cosa meravigliosa, ma anche un luogo che rischia di fare a botte con la memoria e la Storia. Esistono dei precedenti (come la censura del capolavoro di Gustave Courbet: «L' origine del mondo»). E ci saranno, ne possiamo essere certi, altri casi. Solo prima dell' estate il tema era stato affrontato dalla commissione per il diritto all' oblio di Google che, fortunatamente, aveva rigettato la richiesta dell' ex terrorista Roberto Nistri di cancellare il suo passato e la partecipazione alla rapina che il 5 marzo del 1982 era costata la vita allo studente Alessandro Caravillani.
«Non siamo una media company» ha detto il fondatore del social network, Mark Zuckerberg, nel suo recente incontro a Roma con gli studenti. Il problema è che l' affermazione è parzialmente inesatta. Facebook, Google e le altre società del web sono sempre di più, nei fatti, un media, Vivono di contenuti. E noi utenti tendiamo a usare questi servizi come fonte per le informazioni. Al vecchio «lo ha detto la tv» è subentrato «l' ho letto su Google».
Se una cosa non si trova in Rete non esiste per il sentire sempre più comune. Possiamo negarlo quanto vogliamo ma è spesso così.
In questo senso i link dei motori di ricerca e i contenuti postati sui social network non possono non ricadere sotto le conquiste della libertà di espressione. Al diritto all' oblio e alle policy si contrappone il dovere di ricordare e sapere.
Certo, alla fine la Storia ha vinto. La società si è difesa dicendo che spesso è difficile valutare il nudo. Ma già il fatto che per qualche ora quell' immagine sia stata messa sotto esame dovrebbe farci riflettere sui rischi che corriamo nel lungo periodo.
Inutile negarlo: quella di Facebook è una censura che fa indignare. La società lo ha capito ed è tornata indietro.
Ma forse la cosa che dovrebbe fare riflettere ancora di più è che la responsabilità non è di qualche algoritmo ottuso pronto a fare il ministero della Propaganda: è uno staff di persone in carne ed ossa che interviene per applicare le «policy» sui nudi e contro la pedopornografia in seguito alle segnalazioni degli utenti.
Un algoritmo (Google) ha creato la Rete. E un misterioso staff umano potrebbe avere il potere di farla incriminare.
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