DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
Niccolò Carratelli per "la Stampa"
Un milione di italiani a cena fuori, l' altro ieri sera, sei mesi dopo l' ultima volta. Il numero lo ha calcolato la Coldiretti, che sottolinea come le aperture serali «valgano da sole, con l' arrivo della bella stagione e la ripresa del turismo, l' 80% del fatturato di ristoranti, pizzerie ed agriturismi». Ovviamente in condizioni normali, non con la chiusura obbligata alle 22 e l' impossibilità di ospitare i clienti all' interno.
L' altro ieri sono stati meno di centomila, calcolando anche i bar, i locali che hanno riaperto, neanche la metà del totale di 250 mila a livello nazionale: 116 mila, secondo la Fipe-Confcommercio (Federazione dei pubblici esercizi), sono quelli che restano fermi perché non hanno spazi esterni, la quota restante si trova nelle Regioni arancioni o rosse. Calabria, Basilicata, Puglia, Sicilia, Sardegna, più la Valle d' Aosta. Di fatto, in quasi tutto il Sud la cena al ristorante è ancora un miraggio, a dispetto di un piacevole clima serale. Il paradosso è che al Nord non tutti quelli che potevano ripartire lo hanno fatto, a causa del maltempo.
Da Milano a Torino fino a Bologna, temperature tutt' altro che primaverili e pioggia caduta lunedì sera, proprio all' ora di cena. C' è chi ha comunque sfidato le intemperie, con stufe «a fungo» e ombrelloni, gazebo e tettoie, oppure sfruttando i portici. Lo chef Antonello Colonna, che a Milano ha riaperto il suo «Open Colonna», si lamenta: «I clienti non devono chiedere a noi se, in caso di pioggia, possono finire di mangiare dentro il ristorante - spiega -.
Poi qui non possiamo usare i gazebo chiusi su tre lati, perché altrimenti diventano locali al chiuso, ma ho visto che a Napoli li usano, pur tenendo aperta la porta di ingresso».
Se non altro, nelle città del Nord sedersi a tavola alle 20, o addirittura alle 19, 30, non è un gesto contro natura come a Napoli, dove la chiusura obbligata alle 22 penalizza non poco i ristoratori.
«L' altra sera c' era anche la partita contro il Torino, che è finita alle 20,30: il tempo non bastava, sono venuti in pochi - racconta Roberto Biscardi, titolare del ristorante "I Re di Napoli", sul lungomare -. A pranzo, invece, abbiamo avuto una buona risposta da parte della clientela». Bilancio positivo anche a Roma, nonostante un clima non proprio da fine aprile: in città negli ultimi giorni sono spuntati ovunque nuovi dehors e c' è chi vanta prenotazioni per tutta la settimana, con sold-out per il week-end sul litorale, da Ostia a Fregene.
Questione di punti di vista: «Noi solitamente lavoriamo fino alle 3, con il 70% d' incasso nella fascia oraria notturna - spiegano al telefono da una pizzeria di Campo de' Fiori -. Con il coprifuoco lavoriamo al 30% delle nostre possibilità». Ma la questione del coprifuoco, in realtà, è una «foglia di fico», dice Luciano Sbraga, direttore del Centro studi Fipe-Confcommercio, «non è tanto quello che danneggia i ristoratori, quanto il fatto di non poter lavorare all' interno dei locali».
Secondo i calcoli dell' associazione di categoria, finora nel 2021 il danno economico ammonta a 9 miliardi di euro e, con l' ultimo decreto, si determina una perdita ulteriore tra i 50 e i 55 milioni di euro al giorno, circa 2 miliardi da qui al 31 maggio, quando cadrà il divieto di consumare i pasti al chiuso, almeno a pranzo.
«Speriamo che si possa anticipare la scadenza a metà maggio - dice Sbraga - e che si correggano misure inconcepibili come quella che ora vieta il consumo al banco, che prima in zona gialla era possibile fino alle 18, con il distanziamento e una capienza massima nei locali. Si prende il caffè, 30 secondi e si esce, dov' è il rischio sanitario?».
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