CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL GIORNO: “QUANTE…
Piero Colaprico per “la Repubblica”
La coincidenza è di quelle che danno il tuffo al cuore. La sera in cui Mario Bozzoli sparì, anzi si smaterializzò all’interno dell’azienda di famiglia, e cioè l’8 ottobre, il forno principale dell’azienda venne fermato: «Gli operai dicevano di aver riavviato un sistema che era andato in errore e aveva causato una fumata ».
E una fumata anomala, uno sbuffo, può avvenire, ci aveva detto giorni fa un ingegnere siderurgico, se «una massa umida, com’è un corpo umano, composto oltre il 70 % da acqua, entra nel forno, anche a temperatura bassa».
Bisogna stare ai fatti. E finalmente si comprende meglio la barriera di “no comment” da parte di carabinieri e magistrati nei giorni scorsi. Sin dal primo giorno di indagini avevano una pista privilegiata, quella familiare. E c’è nel fascicolo giudiziario il possibile movente, messo nero su bianco: “mobbizzato” e “ostracizzato”, l’imprenditore “aveva paura”, anche per i propri figli. E di chi aveva paura?
Dentro i muri moderni dell’azienda di Marcheno, in Valtrompia, c’era un’atmosfera antica come il mondo: «Si erano creati screzi con la famiglia del fratello » e alla «situazione molto tesa tra le due famiglie, proveniente dalla tutela degli interessi economici personali» si deve aggiungere «un clima di sospetto, da parte di mio marito, nei confronti dei miei nipoti che, a suo dire, portavano via del materiale dalla ditta, per magari, rivenderlo e finanziare la loro nuova fonderia a Bedizzole».
Queste frasi nette, sconcertanti, sono contenute nella denuncia di scomparsa che la moglie di Mario, Irene Zerbini, ha presentato ai carabinieri di Tavernole sul Mella: «Mio marito è abitudinario », chiama sempre al telefono, racconta la moglie, e quella sera avevano prenotato la cena in un bel ristorante di Padenghe sul Garda. Era tutto tranquillo: «L’ultima telefonata che ho ricevuto da Mario risale alle 19.11, ricordo che mi diceva che si stava preparando per andare a fare la doccia e sarebbe partito».
Ma non arriva, né arriverà mai: «Trascorsa un’ora e mezzo, non ricevevo più alcuna notizia da parte di Mario, il che – denuncia la moglie - mi sembrava molto strano, perché mio marito è solito fare parecchie telefonate nel corso della giornata. Verso le 23 circa, non vedendolo arrivare né avendo più possibilità di sentirlo al cellulare, che risultava spento, ero certa che qualcosa fosse successo».
Qualcosa, però, che si fa fatica a concepire. Accompagnata dal primogenito Claudio, 26 anni, dentista, al quale il padre stava acquistando un grande centro medico, la signora Irene corre in fabbrica. Gli operai le raccontano di quella “fumata”, le dicono di aver riavviato l’impianto, confermano che hanno visto il marito l’ultima volta, mentre andava verso le docce.
I familiari, sempre più sconvolti, vanno allora nello spogliatoio: «Constatavamo che gli abiti borghesi erano ancora nel mobile, il che significava che non aveva tolto gli indumenti da officina ». E, poggiate sull’armadietto, c’erano «le chiavi dell’auto, che si trovava nella ditta».
Da questa denuncia, che i magistrati tenevano in gran segreto, e che ieri ha pubblicato il settimanale Giallo ( «Non ce l’abbiamo con i giornalisti, ma chi ha passato queste carte è un pazzo », si sfoga uno degli inquirenti), diventano più chiare le dinamiche che abbiamo già raccontato nei giorni scorsi.
L’arrivo, nel capannone e tra i cumuli di rottami, dei cani cerca-cadavere, dei cani cosiddetti “molecolari” (seguono minime particelle di odore), di Cristina Cattaneo (tra le migliori donne scienziato nel campo della medicina legale), dei carabinieri del Ris, di esperti in metallurgia. Lo scopo è cercare “tracce biologiche”, possono essere nei filtri dell’aerazione del forno, come nel crogiolo, come tra i rottami o i lingotti. Un lavoro lungo e complesso, che i detective avrebbero voluto svolgere senza la minima interferenza, nell’azienda messa sotto sequestro.
Invece Alex e Giacomo Bozzoli, nipoti dell’uomo che risulta ancora ufficialmente scomparso, hanno la matematica certezza di quanto poco lo zio si sentisse tranquillo in loro presenza, tanto da voler «fare denuncia, ma non ha mai detto per cosa», stando alle parole messe nel verbale di denuncia dalla zia. Alex, poco dopo la scomparsa dello zio, è stato visto stracciare dei documenti in ufficio. Giacomo, sulla Porche Cayenne, ha fatto un paio di spostamenti, proprio intorno all’ora cruciale, tra le 19 e le 20 dell’8 ottobre. E non a caso, non sono stati interrogati mai a lungo.
Nemmeno sulla fuga e sulla morte solitaria, in alta montagna, di Beppe Ghirardini, l’operaio che curava il forno, trovato domenica scorsa. L’autopsia ha sinora escluso cause esterne, si stanno eseguendo gli accertamenti su tracce di veleno o droghe. Mario e Beppe, coetanei, andavano d’accordo da anni.
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