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IL PIANO DELL’ISIS: UCCIDERE IL TURISMO - GLI ATTENTATI DI ISTANBUL, IN CUI SONO MORTE 10 PERSONE, RIENTRA IN UN PIANO PIÙ GRANDE CHE HA COINVOLTO ANCHE LA STRAGE AL MUSEO DEL BARDO A TUNISI, GLI ATTACCHI ALLE PIRAMIDI, A SHARM EL-SHEIKH E AGLI HOTEL IN GENERALE

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Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”

 

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Ancora turisti occidentali uccisi. Questa volta nel cuore della città più famosa della Turchia. È difficile pensare ad un luogo più rilevante e simbolico nella millenaria e travagliata relazione tra Oriente e Occidente che Sultanahmet, Agia Sofia e la Moschea Blu. Chi non c'è stato, o almeno chi non ne ha mai sentito parlare? Costantino, Bisanzio, lo storico assedio e la vittoria musulmana del 1453, le chiese tramutate in moschee, la gloria contesa del Corno d'Oro. E, appena vicino, gli sfarzi del Topkapi, le curiosità dell' Harem del Sultano, i tappeti, i saloni immensi.

 

Ieri le pietre grigie e i marmi immacolati delle strade e i muri massicci nel centro di quei siti erano schizzati di sangue. Piazze transennate. Traffico impazzito, molto più del solito, nei posti più visitati di Istanbul. «Non si passa. Tornate domani. Oggi tutto chiuso», ci hanno detto i poliziotti nervosi sulla salita della «Kennedy Caddesi», la statale sul lungomare che venendo dall' aeroporto permette di raggiungere il ponte di Galata. Il luogo dell' attentato dalle dieci di ieri mattina è bloccato.

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Quando ci siamo arrivati in prima serata era già buio, ma il silenzio dello stato di allarme, i negozietti chiusi, l'assenza totale di turisti dove in genere c' è folla sino a tarda notte, davano il senso della gravità del fatto. Ogni anno ci vengono 12 milioni di stranieri, ora la zona è desolata, impaurita.

 

«Ce lo aspettavamo. Era inevitabile», dicono a un chiosco. L'esplosione contro un gruppetto di turisti tra le vie selciate che delimitano la piazza alberata di Sultanahmet ha causato almeno dieci morti e una quindicina di feriti, due sono gravissimi. Ma il dato più rilevante è che le vittime sono praticamente tutte straniere: dieci morti, tra cui otto tedeschi e un peruviano. E tra i feriti, in maggioranza tedeschi, anche un norvegese.

 

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Intendiamoci: la Turchia è ormai da anni abituata alle stragi, anche ben più gravi. A Suruc, presso il confine con la Siria, il 20 luglio dell' anno scorso almeno 33 persone persero la vita. Tre mesi dopo, il 10 ottobre, i morti nelle due bombe di Ankara sono stati 102, con oltre 400 feriti. E questi sono solo i più sanguinosi e recenti di una serie infinita di attentati. Eppure, percorrendo i luoghi così noti in tutto il mondo di questa città «di confine» tanto contesa e ricca di storia, viene automatico inserire il nuovo attentato nella serie che sempre più insistentemente negli ultimi due o tre anni colpisce gli stranieri.

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Istanbul come il museo del Bardo a Tunisi, gli attacchi alle Piramidi, a Sharm el-Sheikh, agli hotel in generale. Le prime ricostruzioni dei media turchi raccontano che c' era poca gente nella zona al momento dell' esplosione. Chi ha colpito dunque ha mirato espressamente a loro, li ha cercati, attesi, seguiti e quando infine li ha visti assieme ha fatto detonare l' ordigno. Lo spostamento d' aria ha anche ribaltato un' auto della polizia posteggiata nelle vicinanze.

 

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Lasciando la zona transennata incontro un piccolo assembramento. Sono turisti: facili da individuare, facili da uccidere. Un gruppetto di pensionati europei si muove guardingo verso la zona della torre di Galata. Sono danesi, forse un paio di francesi. Appena scesi dall' autobus fornito dall' agenzia di viaggi seguono la guida che li porta al ristorante per la cena. «Avremmo dovuto mangiare in un locale vicino al bazar coperto (non lontano dal luogo dell' attentato, ndr ). Ma è stato scelto un posto più defilato», spiegano.

 

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Proprio l' obbiettivo della strage rende plausibile la pista seguita dalle autorità turche. Il primo ministro Ahmet Davutoglu punta decisamente il dito contro Isis. La polizia lascia sapere di avere le prove: si tratta di un kamikaze, l' ennesimo jihadista pronto ad «immolarsi» per la «guerra santa». Dai monconi del corpo recuperati sul luogo del massacro hanno dedotto che sarebbe un giovane siriano nato nel 1988, avrebbe attraversato il confine di recente. «Lo abbiamo individuato. Ma non era considerato sospetto», aggiungono. Il presidente Recep Tayyip Erdogan reagisce facendo appello all' unità del Paese.

 

«La Turchia è il primo obiettivo dei terroristi nella regione. Ma noi li batteremo tutti, senza differenze», osserva. Il messaggio è chiaro. Nell' ultimo anno la Turchia è sembrata propensa a porre fine a quell' atteggiamento di relativa passività nei confronti di Isis e dell' estremismo sunnita che le aveva attirato forti critiche anche tra gli alleati della Nato. Erdogan ha così rafforzato la chiusura dei quasi mille chilometri di confine con la Siria e ha ordinato di bloccare il traffico di greggio proveniente dai pozzi controllati da Isis. La reazione jihadista però si è fatta violenta. Se prima il territorio turco era relativamente immune dagli attentati jihadisti, oggi è diventato terreno di battaglia.

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Ma il secondo fronte caldo è quello della guerra civile sempre più violenta tra Stato e minoranza curda. La tregua è rotta ormai da quasi un anno. Negli ultimi sei mesi oltre 200 militari turchi, circa 230 militanti del Pkk, il partito estremista curdo, e circa 190 civili hanno perduto la vita. Diyarbakir, la città a maggioranza curda più importante nell' Est del Paese, è da tre settimane sotto stretto coprifuoco. Ma vi domina la guerriglia urbana.

 

Erdogan teme più di ogni altra minaccia la ormai stretta collaborazione tra Pkk e le milizie curde in Siria (Ypg). Il braccio di ferro coinvolge anche i partiti curdi moderati, che sono perseguitati al pari degli estremisti. L' attentato di Istanbul si innesta dunque in un clima di tensione interna già molto forte. E Isis farà del suo meglio per approfittarne.

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