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"GLI OSTAGGI LIBERATI DA HAMAS? SEMBRANO SOPRAVVISSUTI ALL'OLOCAUSTO" - IL MINISTRO DEGLI ESTERI ISRAELIANO, GIDEON SAAR, COMMENTA IL RILASCIO DEI TRE OSTAGGI DETENUTI DA 16 MESI DAI TERRORISTI HAMAS - I MEDICI HANNO ACCERTATO CHE GLI UOMINI, APPARSI PALLIDI E MAGRISSIMI, SOFFRONO DI "GRAVE MALNUTRIZIONE" - UNO DI LORO, ELI SHARABI, HA SCOPERTO IERI, DOPO IL RILASCIO, CHE SUA MOGLIE E LE LORO DUE FIGLIE (16 E 13 ANNI) SONO MORTE DURANTE L'ATTACCO DEL 7 OTTOBRE E CHE IL FRATELLO DELL'UOMO E' MORTO NELLE MANI DI HAMAS - VIDEO
Hamas forced Eli Sharabi to announce that he was excited to be reunited with his wife and daughters this morning, fully aware that they had murdered his family on October 7th.
The Jewish people will never forget or forgive Hamas’ utter depravity and crimes. pic.twitter.com/OFS5obtvJA
— Hen Mazzig (@HenMazzig) February 8, 2025
Estratto dell'articolo di Fabiana Magrì per “La Stampa”
OSTAGGI ISRAELIANI LIBERATI DA HAMAS - PRIMA E DOPO LA PRIGIONIA
La figlia di Ohad Ben Ami l'ha riconosciuto a malapena. «Mi ci è voluto un secondo per realizzare che era papà», ha commentato a caldo Ella Ben Ami al Canale 12 israeliano. «Sembra uno scheletro», ha detto, sconvolta, Michal Cohen, la madre dell'ex ostaggio, nel vedere suo figlio così magro ed emaciato.
Può darsi che l'establishment politico, come sostengono alcune fonti, fosse pienamente informato del precario stato di salute di Ohad Ben Ami (56 anni), Eli Sharabi (52) e Or Levy (34) prima del loro rilascio, il quinto dall'inizio della tregua. Ma quando, ieri mattina, i tre israeliani sono scesi dai pickup di Hamas per essere sottoposti all'ultima umiliazione - la grottesca cerimonia di liberazione sul palcoscenico allestito a Deir Al-Balah, con tanto di "intervista" - gli spettatori della diretta, in Israele, sono trasecolati.
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«I nostri cuori tremano e le nostre menti lottano per comprendere la vista di Or, che è tornato da noi in uno stato così devastante», ha scritto in una nota la famiglia Levy. E ancora: «Il suo volto testimonia l'inferno che ha sopportato per 491 giorni nelle mani dei mostri di Hamas». […]
Nell'abbraccio del piccolo Almog, il figlio di 3 anni, Or Levy ha avuto conferma che sua moglie, Einav, è stata uccisa nel massacro del 7 ottobre. Totalmente all'oscuro della sua ulteriore disgrazia, secondo i media, era Eli Sharabi. Sul suo volto scavato, nel suo sguardo svuotato, la trasfigurazione del male subito è forse la più evidente. Per tutto il tempo della prigionia, sedici mesi nei tunnel sotto Gaza bombardata per la guerra, non sapeva che sua moglie Lianne e le figlie, Noiya (16 anni) e Yahel (13), sono state ammazzate nel Sabato Nero di Israele in cui tutto ha avuto inizio.
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Anche il fratello di Eli, Yossi Sharabi, è stato preso in ostaggio. Secondo l'intelligence militare israeliana è probabilmente morto come conseguenza di un raid di Tsahal su un edificio vicino al luogo dove era tenuto nascosto. Il suo corpo è ancora là.
Già al primo sguardo, gli ultimi ostaggi rilasciati da Hamas «soffrono di grave malnutrizione e di una significativa perdita di peso», ha dichiarato la dottoressa Hagar Mizrahi, del ministero della Salute israeliano. La direttrice dello Sheba Medical Center che ha accolto i tre uomini, Yael Frenkel-Nir, conferma la diagnosi: «Le loro condizioni mediche sono pessime». La prigionia prolungata «ha causato un significativo deterioramento delle loro condizioni e siamo profondamente preoccupati per quelli che rimangono nelle mani di Hamas».
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Il paragone aleggia come uno spettro sulle coscienze del popolo ebraico. Lo esprime per primo il Forum delle famiglie dei rapiti: «Il 1945 è adesso. È un crimine contro l'umanità. Queste immagini evocano quelle terrificanti della liberazione dei campi nel 1945, il capitolo più oscuro della nostra storia».
Poi il ministro degli Esteri, Gideon Saar, con un messaggio ai suoi omologhi in tutto il mondo: «Sembrano sopravvissuti all'Olocausto. Il male nazista di Hamas deve essere sradicato». L'ufficio del primo ministro non menziona direttamente la Shoah ma dichiara: «Le immagini scioccanti che abbiamo visto non passeranno inosservate».
[…] Dietro al palco dove i tre uomini, ombre di se stessi, si reggevano a stento in piedi sorretti dai miliziani armati e mascherati di Hamas, campeggiavano banner con messaggi in ebraico per il popolo di Israele, per Trump e per il mondo: «Il "day after" siamo noi». Il gruppo che spadroneggia a Gaza non ha alcuna intenzione di abbandonare il campo.
Segue, anzi, con attenzione il rilascio dalle carceri israeliane dei 183 detenuti palestinesi, tra cui 18 che stavano scontando l'ergastolo per attentati contro la popolazione israeliana.
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Fu nello scambio per la liberazione dell'ostaggio Gilad Shalit nel 2011 che trovò la libertà anche il futuro leader e architetto del 7 ottobre, Yahya Sinwar. […]
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