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Giampaolo Cadalanu per “la Repubblica”
L’Italia parteciperà alla guerra contro lo Stato islamico: visto che gli aiuti umanitari non bastano e la fornitura di armi ai combattenti curdi rischia di essere modesta e forse tardiva, la Difesa prepara un passo ulteriore. Le Forze armate parteciperanno alle operazioni, anche se per il momento senza ruoli di primo piano: «Possiamo offrire aerei da rifornimento», ha detto ieri Roberta Pinotti, «e abbiamo anche istruttori molto bravi».
«Serve un coordinamento, e non solo militare», ha aggiunto il ministro della Difesa, sottolineando che gli integralisti «stanno facendo proseliti e hanno un obiettivo: costruire un califfato». Secondo la Pinotti «non si può consentire di far trucidare bambini e far schiavizzare donne». Quelle inviate ai curdi, e ancora ferme a Bagdad per problemi burocratici, sono «armi che servono per proteggersi», ha sottolineato il ministro, evocando lo spettro di Srebrenica: «Quando non abbiamo deciso gli interventi, abbiamo visto tragedie inenarrabili».
La decisione di andare oltre l’invio di gallette vitaminiche e vecchi kalashnikov, con un coinvolgimento più esplicito del Paese, sembra basata su un ragionamento ovvio: il sostegno ai curdi ha già esposto l’Italia a possibili rappresaglie, a questo punto è più sensato andare avanti. L’avanzata dell’Is è considerato un’emergenza tale da non aspettare nemmeno il “via libera” dall’Onu.
«Nessuno si degna di convocare le Nazioni Unite, c’è da chiedersi se siano in ferie prolungate », ha domandato ieri polemicamente Emma Bonino: «Quando c’è un incendio bisogna spegnerlo subito, ma bisogna anche chiedersi se ci sia qualche piromane e fare domande scomode agli amici islamici».
Ma l’impegno italiano non finirà qui: un prossimo passo ovvio, segnalano gli analisti, potrebbe essere la disponibilità delle basi, soprattutto gli aeroporti: Gioia del Colle, Sigonella, Pratica di Mare (già coinvolta come base dei 767 da rifornimento in volo). «Servirebbero come retroterra logistico, molto importante soprattutto per gli alleati europei. Difficilmente si potrebbero usare come base di partenza per i raid: ci sono installazioni più vicine, in Giordania, in Israele, in Arabia Saudita, negli Emirati oppure in Turchia», suggerisce Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa.
iraq l'avanzata dei jihadisti 8
Utilissimi potrebbero essere i droni Predator, ampiamente utilizzati per ricognizione e sorveglianza in Afghanistan. Resta da vedere se la disponibilità di droni è sufficiente, visto che alcune macchine sono state spedite nella nuova base di Gibuti, in Corno d’Africa, ed altre sono impegnate nell’operazione Mare Nostrum.
Meno probabile, invece, è l’utilizzo delle forze speciali, a meno di un cambiamento dello scenario bellico. L’attuale strategia prevede attacchi dall’alto con i jet: gli incursori servirebbero soltanto come “designatori”, con il compito di individuare e “illuminare” con speciali laser gli obiettivi. «Mandare truppe speciali italiane per questo compito avrebbe senso solo se schierassimo anche noi velivoli da bombardamento. In situazioni come questa, gli equivoci sono facili anche fra militari alleati. Insomma, chi usa i bombardieri preferisce fidarsi dei suoi uomini sul terreno».
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