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Monica Serra per “la Stampa”
Dopo oltre quattro anni di inchiesta e il durissimo scontro che si è consumato in procura, anche i magistrati milanesi lo hanno confermato: l'ex legale esterno di Eni Piero Amara è un «calunniatore». Mentendo avrebbe condizionato indagini e processi non per conto, ma ai danni dell'amministratore delegato del Cane a sei zampe Claudio Descalzi. Tant' è che la posizione di Descalzi, che inizialmente figurava tra gli indagati, è stata stralciata dai pm e sembrerebbe destinata all'archiviazione.
È tutto messo nero su bianco nell'avviso di conclusione delle indagini sul cosiddetto falso complotto Eni. Un'inchiesta lunga e intricata nel corso della quale Amara ha parlato della presunta «Loggia Ungheria», dando il via ai contrasti sfociati nelle indagini su quattro magistrati milanesi a Brescia (mentre per il procuratore in pensione Francesco Greco è stata chiesta l'archiviazione). Tra loro il pm Paolo Storari, inizialmente titolare delle indagini sul complotto con l'aggiunta Laura Pedio e convinto, già un anno e mezzo fa, della necessità di arrestare Amara e l'ex dirigente Eni Vincenzo Armanna per calunnia.
La sua linea, che all'epoca non persuase i vertici della procura, è stata di fatto adottata dai nuovi titolari dell'inchiesta: i pm Stefano Civardi e Monia Di Marco, che ieri hanno firmato il provvedimento con Pedio. Sono diciassette in tutto gli indagati. Tra loro figurano, oltre ad Amara e Armanna, l'ex presidente di Eni Trading e Shipping (Ets) ed ex capo dell'ufficio legale, Massimo Mantovani e il dirigente del Cane sei zampe, Antonio Vella. Sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla calunnia, diffamazione, intralcio alla giustizia, induzione a non rendere dichiarazioni o a mentire all'autorità giudiziaria, false dichiarazioni al pm, favoreggiamento e corruzione tra privati.
Il loro obiettivo, secondo le indagini condotte dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, era quello di «inquinare lo svolgimento dei procedimenti in corso contro Eni a Milano»; screditare attraverso «esposti anonimi» anche davanti alle procure di Trani e Siracusa, i consiglieri indipendenti Luigi Zingales e Karina Litvack facendoli estromettere dal cda della società e dando il via alle indagini sul finto complotto; «strumentalizzare» gli organi di stampa.
Vella e Mantovani, per l'accusa, «finanziavano» Amara e Armanna tramite le società del gruppo Napag (indagate e in cui Amara aveva forti interessi) e tramite la Fenog Nigeria Ltd. Nelle tasche del primo sarebbero finiti almeno due milioni di euro, più di sei milioni e mezzo al secondo.
I due, in cambio, avrebbero detto il falso raccontando «che Granata, su incarico di Descalzi, avrebbe promesso ad Armanna la riassunzione in Eni e 1,5 milioni di euro all'anno affinché» l'ex manager «attenuasse le dichiarazioni accusatorie rese nei confronti dell'ad Descalzi». Dall'atto spunta anche un'altra presunta calunnia di Armanna nei confronti di Descalzi e altri basata su una denuncia che l'ex manager depositò a Roma nel 2020, inventando interventi «sulla mia persona» e presunte false minacce per «farmi desistere dal deporre».
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