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LE FRAPPE TRA UN PO’ COSTERANNO COME LE CINTURE DI GUCCI! IGINIO MASSARI METTE IN VENDITA IL DOLCE DI CARNEVALE A 100 EURO, 25% IN PIÙ DELL’ANNO PASSATO. SCOPPIA LA POLEMICA, VISTO CHE AL SUPERMERCATO LE FRAPPE COSTANO 6,36 EURO - LO CHEF E DOCENTE GUIDO MORI ATTACCA: “QUANDO IL PREZZO SI DISCOSTA TROPPO DAL COSTO DELLE MATERIE PRIME, SI ESCE DAL CONCETTO DI ALIMENTO. LA QUESTIONE NON È SOLO ECONOMICA, MA CULTURALE: IL PREZZO ATTRIBUITO A UN PRODOTTO PUÒ TRASFORMARLO IN UN OGGETTO DI LUSSO…”
Francesco Seminara per repubblica.it - Estratti
A Carnevale ogni dolce vale, ma fino a che punto? La domanda sorge dopo che il maestro Iginio Massari ha messo in vendita le sue chiacchiere a 100 euro al chilo con un aumento del 25% rispetto all'anno scorso.
(...) Una cifra che non ha mancato di suscitare polemiche, soprattutto considerando che a Milano lo stesso dolce nelle pasticcerie oscilla tra i 20 e i 60 euro al chilo, con punte minime di 6,36 euro nei supermercati. Ma cosa giustifica un tale divario di prezzo? La gazzarra impazza sul Web e soprattutto sui social, con lo chef e docente Guido Mori che non manca di dire la sua alimentandola.
Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per farci spiegare da dove nasce la polemica. “Bisognerebbe partire dal concetto di cibo, capire davvero cos’è. Sicuramente è nutrimento, tradizione e naturalmente convivio, specie per una festa così popolare come il Carnevale. Non stiamo parlando di abiti di lusso, ma di cibo. Gli abiti di lusso hanno un valore intrinseco legato al marchio e se ne può fare a meno. Il cibo, invece, è essenziale”, ci ha detto Mori senza mezzi termini.
“Le chiacchiere non sono il tartufo, e quando il prezzo si discosta troppo dal costo delle materie prime, si esce dal concetto di alimento”. Secondo lo chef, il costo di queste chiacchiere non è tanto il risultato di una lavorazione straordinaria o di materie prime introvabili, quanto di una precisa operazione di posizionamento di mercato: “Perché si calcola il food cost? Per capire quanto ci costa produrre qualcosa e quanto vogliamo guadagnarci. Qui non stiamo più parlando di cibo, ma di cinture di Gucci”. Mori spiega che il vero valore di un prodotto gastronomico dovrebbe risiedere nella sua qualità e nella mano di chi lo realizza, non nel potere evocativo di un marchio.
“Ogni alimento è una narrazione. Ma se proiettiamo il nostro desiderio di scalata sociale su un brand finiamo per diventare tutti uguali”. Parole che pongono l’accento su un fenomeno sempre più evidente: il cibo sta diventando uno status symbol, più che un’esperienza di gusto autentica.
(...)
La questione, quindi, non è solo economica, ma anche culturale: il prezzo attribuito a un prodotto può trasformarlo in un oggetto di lusso, snaturandone la vera essenza. E se da un lato c’è chi è disposto a pagare qualsiasi cifra per un marchio, dall’altro c’è chi rivendica il valore della pasticceria artigianale e della tradizione locale. Quest’anno, il Carnevale si festeggia con dolci che dividono più che unire. Ma alla fine, tra bugie, cenci e frappe, la domanda resta sempre la stessa: qual è il vero prezzo del gusto?
Iginio Massari - giorni mesi anni di una vita intensa
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