DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Anna Alberti per Libero Quotidiano
«Non vi rimane che chiamare un prete». Ecco la frase che ha scatenato tutto nel reparto di Rianimazione di Crotone. Con il dolore per la dipartita di un congiunto che lascia il posto all' ira furibonda dei parenti. Quasi che la colpa sia da imputare all' olio Santo o allo stesso medico che lo ha (suo malgrado) evocato. Perché il malato terminale era ormai immune a qualsiasi medicina.
Cosa però inaccettabile per i familiari del paziente defunto: 33 anni di Rosarno (Reggio Calabria), malato di Sla e colpito da una crisi cardiaca che ne ha irrimediabilmente aggravato il quadro clinico. «L' estrema unzione è tutto ciò che potete fare», dice il medico. È giovedì sera, ore 23. Non lo avesse mai parlato, il dottore. Lo squadrone di parenti perde infatti il controllo e lo afferra per il camice, si arma di tutto quel che trova in corsia o sui carrelli degli infermieri, e giù botte all' incolpevole anestesista atterrato a pugni e pedate.
Succede nel reparto di Rianimazione dell' ospedale civile (si fa per dire) "San Giovanni di Dio. Calabria. Vero: al sud la sanità pubblica non brillerà forse per efficienza nelle cure e nei servizi ai cittadini, ma arrivare a linciare un medico ritenendolo responsabile della dipartita di un malato incurabile, è cosa di un mondo incomprensibile.
NESSUNA SPERANZA Il paziente ricoverato, dice la direzione sanitaria, era arrivato domenica sera da una clinica privata della Calabria, dov' era stato ricoverato per una crisi cardiaca che lo ha mandato in coma. Le condizioni erano disperate e non lasciavano speranza.
Sarà che i medici, avvezzi a confrontarsi con la morte e il dolore, possono talvolta sembrare ostili o indifferenti ai familiari di un congiunto che muore. Ma questo non spiega e tantomeno può giustificare quanto accaduto nel reparto di Crotone. Due donne e un uomo saltano addosso al dottore e agli infermieri che arrivano in soccorso dello stesso. Botte alla testa e al torace. Pugni, pedate e colpi bassi con le padelle e i piedistalli delle flebo. La rissa non si splaca fino a quando qualcuno non chiama la polizia.
Intanto gli aggressori sfondano una porta e sfasciano la Rianimazione. Arrivano gli agenti e piovono subito le denunce: lesioni in concorso, danneggiamento ed interruzione di pubblico servizio, le accuse.
TRAUMI DA CHIRURGIA L' anestesista, dopo essere stato soccorso dai colleghi, viene ricoverato in Chirurgia per trauma cranico e addominale. «Questo ennesimo episodio di violenza nei confronti di chi si è adoperato al massimo per prestare la migliore assistenza al giovane paziente che versava in particolari e già comunicate condizioni di acclarata criticità, pre-esistenti all' atto del ricovero» - scrive in una nota l' Ordine dei medici di Crotone «si ascrive, purtroppo, nell' ampio fenomeno di aggressioni nel settore sanitario che in Italia, ad oggi, conta circa tremila episodi all' anno (stante i soli casi denunciati), contro i quali è necessario l' intervento delle forze politiche e sociali.
Questo Ordine professionale» - conclude la nota «valuterà, insieme agli interessati, le modalità e le azioni da intraprendere nel segno della più stretta e fattiva solidarietà».
A questa dichiarazione fa eco l' Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani Emergenza Area Critica (Aaroi-Emac: «Non c' è un solo giorno senza che arrivino notizie di azioni violente a danno del personale sanitario. Reazioni senza alcuna giustificazione e che condanniamo fermamente. Il dolore, sebbene straziante per la perdita di un congiunto, non autorizza in alcun modo il ricorso alla violenza nei confronti di chi, con umana professionalità, è costretto a dare una terribile comunicazione e che non ha fatto altro che svolgere il proprio lavoro».
VIOLENZA GRATUITA E ancora: «L' Aaroi-Emac esprime solidarietà e vicinanza al collega anestesista-rianimatore e agli infermieri aggrediti all' ospedale San Giovanni di Dio, auspicando che simili azioni siano condannate nelle sedi opportune. Come medici rivendichiamo il diritto a lavorare con serenità per garantire a nostra volta il diritto alla cura. Entrambi questi diritti sono oggi messi a dura prova da atti quotidiani di violenza gratuita».
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