DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Michele Bocci per “la Repubblica”
Il cardiologo lunedì mattina, il neurologo tra venti giorni per fissare quell’esame e ovviamente, in mezzo, un paio di passaggi dal medico di famiglia. Quello che sembrerebbe un programma di accertamenti piuttosto intenso è uno schema di routine per molti. Gli italiani hanno paura delle malattie, così si rivolgono in modo sempre più massiccio ai medici per sapere come stanno. Si muovono in massa, senza accennare a ridurre le loro richieste salvo quando ci sono di mezzo molti soldi.
Dal 2005 al 2013, cioè nel giro di otto anni, nel nostro Paese sono state fatte 34 milioni di visite specialistiche in più, toccando il dato record di 200 milioni. Se nel conto si mettono anche i medici di famiglia e i pediatri la crescita raggiunge i 70 milioni, e il dato finale sale a 480 milioni di visite, cioè otto all’anno in media per ciascun italiano. Anche gli esami sono in aumento, di quattro milioni, e ogni mille persone ce ne sono 200 in più che ogni giorno prendono un farmaco. L’unica cosa che cala sono le visite odontoiatriche, 16 milioni in meno. Sedersi sulla poltrona del dentista è molto costoso, e in tanti stanno lontani.
I dati arrivano dall’indagine multiscopo dell’Istat, basata sull’analisi di un campione molto ampio. E tirano in ballo anche un problema che ormai ha cambiato nome ma non la sua importanza: l’ipocondria. Oggi viene detta ansia da malattia, e spinge le persone ad andare dal dottore anche 10 volte in un mese, al minimo sintomo. «Non sono malati immaginari — spiega Stefania Durando, psicologa psicoterapeutica dell’Istituto Watson di Torino — Qualcosa che li mette a disagio c’è ma a differenza di altre persone, che aspettano un po’ per capire se il dolorino o un certo sintomo passano, vanno subito dal medico. Si allarmano per qualunque cosa».
Questo disturbo è parente stretto della patofobia, che si presenta quando la paura della malattia spinge a evitare qualunque tipo di assistenza, e della somatizzazione. «Quest’ultima è tipica nell’ansia — dice sempre Durando — ed è in grado di creare problemi fisici reali. Sono tutte componenti che hanno il loro peso nell’aumento della richiesta degli esami e delle visite specialistiche, e anche nel consumo di farmaci».
Ma la responsabilità di questa crescita non può essere solo dei cittadini, bombardati come sono da mille stimoli che li invitano a consumare prestazioni sanitarie: giornate dedicate alle malattie, pubblicità di disturbi di vario genere, campagne di sensibilizzazione, e più in generale una pressione a stare sempre bene ad essere sempre in forma, a non saltare un giorno di lavoro.
«L’ambiente ci condiziona — dice sempre Durando — Noi esseri umani veniamo facilmente aggrediti dal senso di colpa. Se la televisione mi dice che è utile fare determinati accertamenti, prima che mi succeda qualcosa e mi ritrovi a dire “l’avevano spiegato in tv”, mi muovo». Sandra Vernero è una anestesista tra i fondatori del movimento Slow medicine, che promuove una maggiore attenzione nelle prescrizioni da parte dei professionisti.
«Spesso la medicina difensiva spinge i medici a richiedere esami e visite inutili, per paura di sbagliare. Esiste una comunicazione continua che sottolinea come sia sempre meglio fare più esami, per scoprire prima le malattie. Si generano ansie ed aspettative anche eccessive nella medicina. E poi si parla di prevenzione quando in realtà spesso si intendono screening, cioè esami che servono a intercettare presto le malattie. Sbagliato, per evitare che i problemi nascano bisogna insistere sugli stili di vita, come l’alimentazione».
Cesare Cislaghi, economista sanitario dell’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi alle Regioni, spiega che il consumismo sanitario è dovuto a due fattori. «Da una parte un atteggiamento culturale che porta a dare sempre più importanza alla salute, al benessere. E così si fanno visite, magari si cercano secondi pareri sullo stesso esame. Dall’altra ci sono medici, in particolare quelli di famiglia, che mandano più spesso i pazienti dagli specialisti perché non decidono». E così rispetto a pochi anni fa, ogni italiano fa in media oltre una visita in più ogni 12 mesi.
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