DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Luigi Ippolito per corriere.it
Dalla mezzanotte di oggi quasi dieci milioni persone in Gran Bretagna (su un popolazione totale di 66 milioni) saranno di nuovo in lockdown: i provvedimenti locali, che interessano soprattutto le regioni del Nordest dell’Inghilterra e le aree metropolitane di Manchester e Birmingham, sono la risposta a un’impennata dei contagi che ha visto ieri registrare oltre 4 mila nuovi casi a livello nazionale.
I nuovi provvedimenti impongono la chiusura di pub e ristoranti alle dieci di sera e il divieto di socializzare con persone al di fuori del nucleo familiare, oltre alla raccomandazione di usare i mezzi pubblici solo quando strettamente necessario. E il timore ora è che queste misure potrebbero essere estese al resto del Paese, a partire da Londra, dove i casi di coronavirus sono raddoppiati nelle ultime due settimane.
Già lunedì scorso era scattata in tutto il Paese la «regola del sei», che vieta di riunirsi, anche in casa e con parenti, in gruppi di più di sei persone. E oggi il primo ministro Boris Johnson ha lanciato un appello pubblico dai giornali a rispettare questa disposizione per «appiattire la gobba del cammello» e così «salvare il Natale»: perché se queste misure dovessero restare in piedi fino a dicembre, allora addio cenone.
Ma il governo di Londra sembra in realtà in pieno panico: e filtra la notizia che se nel giro di due settimane i contagi non dovessero rientrare, scatterebbe un nuovo lockdown su base nazionale, inclusa la raccomandazione a lavorare sempre da casa. Quest’ultima marcia indietro sarebbe particolarmente dolorosa – e disastrosa per l’economia – visto che il governo ha cercato di convincere a tornare in ufficio i riottosi cittadini, che ormai si sono in grande maggioranza adagiati più che bene nello smart working.
La preoccupazione di Downing Street è che la situazione sfugga di mano e la Gran Bretagna resti vittima di una seconda ondata, un po’ come è successo in Spagna: perché in realtà il livello dei contagi – e ancor più quello dei ricoveri in ospedale e dei decessi – è lontanissimo dai picchi di marzo-aprile.
Ma Johnson, dopo tante incertezze e pasticci nella gestione della pandemia, stavolta non vuole prendere rischi. Tanto più che la tendenza che emerge in tutta Europa è tutt’altro che rassicurante. Anche in Germania, Paese modello nella gestione del contagio, il virus sta rialzando la testa: ieri i nuovi casi hanno superato quota duemila, una soglia che non si vedeva da tempo. E in Francia il ministro della Sanità ha ammesso che i ricoveri in terapia intensiva stanno crescendo a livello preoccupante.
«È una situazione molto grave quella che si sta verificando» in Europa, dove i nuovi casi settimanali di coronavirus «hanno superato quelli segnalati quando la pandemia ha colpito per la prima volta a marzo», ha detto Hans Kluge, direttore regionale per l’Europa dell’Oms.
«Oltre metà dei Paesi europei - ha sottolineato nel corso di un briefing online - hanno registrato aumenti di oltre il 10% nelle ultime due settimane e in sette Paesi l’incremento è stato pari a più del doppio». Questi numeri, ha concluso, rappresentano un «trend allarmante» e «devono essere una sveglia per tutti» L’ Oms è anche preoccupata per la riduzione dei periodi di quarantena nei vari Paesi.
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