DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Vincenzo Imperitura e Andrea Ossino per “Il Tempo”
Sono circa 4 mila (in prevalenza uomini adulti) le persone che ogni anno in Italia decidono (e riescono) a togliersi la vita con i metodi più disparati. Una strage silenziosa e continua che dopo un periodo di assestamento al ribasso (quasi dimezzati i dati che riguardano le donne) ha registrato una nuova accelerazione (colpendo soprattutto gli uomini in età da lavoro) con l’esplosione della crisi economica mondiale nell’agosto del 2007.
Una tendenza statistica impressionante che ha portato nel 2013 (ultimo anno di cui sono disponibili i dati Istat) a 4291 il numero di suicidi su tutto il territorio nazionale (352 nella sola regione Lazio). Numeri che fanno impressione e che devono tuttavia essere considerati per difetto visto che in molti frangenti, i casi di suicidio non vengono riconosciuti come tali.
Solo a Roma, ad esempio, i casi di presunti suicidi sono 153 nel 2015 e 75 nel 2016. Un dato al quale bisogna sommare le indagini che non sono state ancora verificate, ovvero i «modelli k». A leggere le statistiche (che pongono l’Italia come paese a «rischio medio» rispetto alla possibilità di suicidio) i maggiori indiziati a porre fine alla propria esistenza sono gli uomini che hanno da poco passato la soglia dei cinquanta (436 su tutto il territorio nazionale).
Tra i fattori che, statisticamente, riducono il rischio di tentare di togliersi la vita c’è il matrimonio. Il rischio di suicidi negli uomini vedovi o divorziati di tutte le età è di cinque volte superiore rispetto agli uomini sposati. Trend confermato anche dai dati riferiti alle donne dove si registrano rischi due volte superiori nelle donne rimaste vedove o separate (soprattutto nella fascia d’età tra i 25 e i 44 anni) rispetto alle donne sposate.
Preoccupanti poi i dati generali che si occupano delle fasce d’età più giovani: nell’ultimo anno statisticamente rilevato sono stati 78 i casi di ragazzini (fino ai 19 anni di età) che hanno deciso di togliersi la vita.
E così come esistono differenze nei numeri tra i suicidi di uomini e quelli di donne, differenze esistono anche nei metodi maggiormente utilizzati dagli aspiranti suicidi per portare a termine i loro propositi: tra i maschi infatti il metodo «preferito» è l’impiccamento e dal salto nel vuoto da altezze che non lasciano scampo (soluzione preferita maggiormente tra gli over 65).
Meno frequentemente, gli uomini si tolgono la vita lanciandosi contro un mezzo in corsa (metodo utilizzato quasi esclusivamente dai più giovani). Tra le donne invece gettarsi nel vuoto risulta essere il metodo più frequente, seguito dall’impiccamento, dall’annegamento (soluzione preferita dalle donne più anziane) e dall’avvelenamento da farmaci. «Connettersi, comunicare e curare».
Sono queste le parole d’ordine dell’Iasp, l’associazione internazionale per la prevenzione del suicidio. «In molte comunità – dicono gli esperti dell’associazione – il suicidio è avvolto nel silenzio, o viene sottaciuto. Dobbiamo parlare del suicidio come una qualsiasi altra tematica di pubblica salute, al fine di dissipare i falsi miti, i tabù, riducendo lo stigma che lo avvolge. Dobbiamo assicurarci un piano d’azione politico e una pianificazione di cura tale da rendere la prevenzione del suicidio una priorità e consolidarlo a un livello adeguato alla sua pregnanza come problema pubblico sanitario».
MORTE DUE FRATELLI MALORE SUICIDIO
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Un cappio realizzato con le lenzuola. Un colpo d’arma da fuoco. Un sorso d’acqua necessario per deglutire i farmaci letali. Ogni giorno, nel mondo, avviene un «11 settembre 2001». Il numero delle persone che si tolgono la vita quotidianamente equivale quasi a quello delle vittime morte nell’attacco alle Torri Gemelle di New York. Nel silenzio, lontano dai riflettori, si muore di più per il suicidio che per la guerra.
Come se ogni anno avvenissero almeno 3 tragedie con proporzioni simili allo Tsunami che nel 2004 investì il sud-est dell’Asia. Ma per combattere un fenomeno sociale occorre conoscerlo. È necessario capire le cause che spingono un individuo a uccidersi. I modi attraverso i quali un individuo sceglie di togliersi la vita.
cartello contro il suicidio sotto al monte fuji
Per questo motivo, un gruppo di ricercatori dell’ospedale Gemelli di Roma ha condotto un’osservazione pluriennale relativa ai casi di omicidio. «Si tratta di uno studio sui cadaveri di interesse giudiziario – spiega il professor Antonio Oliva – lo presenteremo durante il prossimo congresso». La ricerca riguarda ovviamente un campione basato esclusivamente sui cadaveri che vengono portati al Gemelli su indicazione della procura di Roma.
È uno studio retrospettivo che riguarda i numeri, le tipologie e le cause. «Sono diverse le modalità con cui una persona sceglie di togliersi la vita – continua il dottor Oliva – Al primo posto c’è l’asfissia meccanica violenta. Comunemente si parla di impiccamento. Avviene attraverso funi, cavi della tv, indumenti o lenzuola. Sono i casi più determinanti e spesso sono collegati a scritti. Alle ultime parole che un individuo vuole lasciare».
Al secondo posto ci sono le precipitazioni dalle finestre. Successivamente, «soprattutto nei pazienti che soffrono da tempo di una forma depressiva, assistiamo all’assunzione smodata di farmaci. Casi recenti dimostrano che pazienti giovani, in condizioni stabili e sotto farmaci si suicidano – spiega ancora l’esperto - Nessuno si sarebbe mai aspettato un gesto simile. Spesso i 30enni o i 40enni non mostrano segnali. In parte si tratta di eventi ineliminabili dal punto di vista dell’accadimento, ma si può sorvegliare un paziente in fase depressiva acuta».
Il monito è uno solo: «Serve attenzione. Specialmente in alcuni periodi o in situazioni difficili. I problemi economici, ad esempio, acuiscono vicenda». Nella ricerca condotta dagli studiosi dell’ospedale Gemelli di Roma, tra le modalità con cui avviene il suicidio, dopo l’assunzione di farmaci, c’è l’uso di armi da fuoco. Nel Belpaese avviene in contesti relativamente standard e poco frequentemente. «Non tutti hanno a disposizione una pistola – conclude il dottore – Fortunatamente in Italia le armi non possono essere reperite facilmente da tutti».
«Il suicidio, tra i giovani, fa più morti della droga». Da oltre 10 anni il dottor Maurizio Pompili, responsabile del Servizio per la Prevenzione del suicidio dell’ospedale Sant’Andrea, supporta quanti hanno provato a togliersi la vita, organizzando ricerche, progetti nelle scuole e corsi di formazione. Secondo Pompili «parlarne è sempre positivo, ma bisogna farlo adeguatamente, evitando sensazionalismi. Spiegando che si può prevenire, che si può essere aiutati».
Dottor Pompili i numeri sono elevati.
«Secondo l’Oms nel mondo vi sono circa 880mila suicidi ogni anno. Per ogni suicidio ci sono almeno 10 tentativi di suicidio. Le stime più allarmistiche parlano di 1 ogni 25. Nel mondo c’è un suicidio ogni 40 secondi e un tentativo ogni 3 secondi. In Italia sono circa 4000 ogni anno. A Roma 190. Sono dati dell’Istituto Superiore della Sanità».
Chi sono i soggetti più colpiti dal fenomeno?
“Gli anziani sono i soggetti più a rischio ma vi sono due grandi problematiche. La prima riguarda i giovani dai 15 ai 29 anni. Si tratta della seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. Il suicidio tra i giovani fa più morti della droga. L’Italia in confronto ai paesi scandinavi e dell’ex Unione Sovietica ha un tasso più basso, ma considerare che oltre 4000 individui muoiono ogni anno senza che vi sia una strategia preventiva globale preoccupa.
L’altro elemento è che dai report dell’Oms si nota un dato decrescente, ma se si vede il momento in cui si è innescata la crisi economica, dal 2006-2008 fino a circa 2 anni fa, abbiamo osservato un aumento importante nei maschi, +12%, nella fascia di età che va dai 25 ai 69 anni, ovvero tra le persone che sono sul mercato del lavoro».
Il tasso di suicidi sembra crescere in alcuni periodi dell’anno
«La primavera è il periodo più critico. Il cambiamento di luce e temperatura cambiano l’assetto energetico dell’individuo. Lo fanno sentire con maggior carica fisica, ma a lui rimangono i vissuti pessimistici. Si trova dunque con una maggiore irritabilità, con potenziali forze in più per portare a termine l’atto suicidario, un gesto estremamente impegnativo».
MAURIZIO POMPILI CON RATZINGER
Quali sono le motivazioni che spingono una persona a togliersi la vita?
«Spesso il fenomeno è stato liquidato dicendo "ah era depresso". Bisogna considerare che alla base del suicidio c’è una sofferenza mentale insopportabile. La dimensione suicidaria è fatta di un dialogo che l’individuo fa con se stesso. Quando questo dialogo ha scartato tutte le altre ipotesi per togliere di mezzo questa sofferenza, il suicidio viene visto come la migliore soluzione. Occorre informare: ci sono altre soluzioni».
Si possono cogliere dei segnali?
«Abbiamo pubblicato una ricerca. Su un campione di 14mila casi della letteratura internazionale è venuto fuori che circa il 45% di coloro che sono morti aveva dichiarato apertamente che si voleva suicidare. Nonostante la sofferenza l’individuo emette segnali. Dice "non ce la faccio più". "A che serve vivere". "Sarebbe meglio che fossi morto". "Starete meglio senza di me".
Ci sono altri campanelli d’allarme. Come dar via cose care. A un certo momento è come se mettessero apposto i loro affari. O ancora possono alterare abitudini del sonno, di vita, dell’umore. Se prima erano molto tristi e angosciati poi di colpo appaiono risollevati. Si potrebbe essere tratti in inganno, ma in realtà quel soggetto si potrebbe sentire rasserenato dal fatto che ha trovato il modo di mettere fine alla sua sofferenza. Qui ci collochiamo noi, per essere interlocutori quando l’individuo chiede aiuto, quando ha un travaglio interiore».
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