DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Anais Ginori per “la Repubblica”
IN PLACE de la République è il 37 marzo, secondo il nuovo calendario dei ragazzi insonni che si preparano a un’altra interminabile notte di discussioni e lotte. Piove e fa freddo ma al tramonto c’è già la fila per iscriversi a parlare durante l’assemblea generale. Tutto è cominciato una settimana fa, con la manifestazione contro la legge El Khomri, la riforma dello statuto dei lavoratori varata dal governo socialista che sta coalizzando il malcontento ben al di là dei sindacati.
Il corteo di protesta del 31 marzo non si è mai chiuso, trasferendosi nell’occupazione della piazza simbolo della capitale. «Non torniamocene a casa!» era scritto sul volantino del collettivo per la “Convergenza delle lotte” distribuito nelle strade con l’idea di modificare anche la misurazione del tempo. La risposta è stata inaspettata, contagiosa, da Parigi si è allargata ad altre città, a Tolosa, Nantes, Rennes, Lione.
Una mobilitazione che sembra avere parentele lontane con le adunate newyorchesi di Occupy e quelle a Puerta del Sol di Podemos, anche se per ora il movimento Nuit Debout, notte in piedi, è senza leader né portavoce, non sembra avere nessuno sbocco politico. I ragazzi di République sono seduti in cerchio accanto alla statua di Marianne, l’altare laico dedicato agli attentati del 2015 dove ci sono ancora fiori, messaggi, lumicini. L’11 gennaio di un anno fa place de la République aveva ospitato la più grande manifestazione francese del dopoguerra, breve simbolo di unità nazionale.
«Volevano imbavagliarci con lo stato di emergenza, non ci sono riusciti» spiega Gaston, studente in legge di 19 anni, che si è portato il sacco a pelo. Nessuna commozione nel ricordo delle vittime. «Ho più possibilità di essere disoccupato che morire in un attacco terroristico». Annie, pensionata di 67 anni, è venuta a vedere lo spettacolo della contestazione. «Finalmente i giovani si sono svegliati».
È difficile dare un volto e un nome a questa mobilitazione “informale e cittadina”, tra le poche e vaghe definizioni accettate. Il momento clou è l’assemblea generale che si tiene a partire dalle 18 e va avanti ad oltranza. Uno dei primi argomenti è l’arresto di manifestanti durante gli scontri di martedì con la polizia. «Dobbiamo chiarire la nostra linea sull’uso della violenza » dice una ragazza. «La violenza è dello Stato» risponde un altro, insinuando che ci siano militanti dell’estrema destra infiltrati nel movimento.
Non c’è ordine prestabilito, non c’è tempo di parola. Per approvare una mozione serve almeno l’ottanta per cento dei voti favorevoli, passano molti scrutini prima di arrivare finalmente a una decisione. Con una mano usano il vecchio megafono per arringare la folla, con l’altra filmano in streaming sull’applicazione Periscope. Si passa dal diritto al velo delle donne musulmane che il premier Manuel Valls ha descritto come oppresse, ai Panama Papers, simbolo del «sistema predatorio capitalista».
Marie, 27 anni, disoccupata, vuole mostrare ad altri amici il podcast di un’inchiesta televisiva sulle società offshore. La connessione funziona male. Un migrante si alza. «Stamattina è arrivata la polizia per evacuarci e non so più dove sono i miei amici » spiega. Pochi dormono davvero sulla piazza. I continui interventi delle forze dell’ordine stanno diventando un problema. Una ragazza che fa da moderatrice assicura: «Se ne occuperà la commissione serenità», eufemismo per parlare della sicurezza.
Altri argomenti sono più consensuali. C’è la commissione animazione per spettacoli e concerti, quella sul clima che vorrebbe creare un orto in piazza. Gli appuntamenti tra i vari relatori sembrano messaggi cifrati: «Ci vediamo sotto al secondo lampione sulla destra, all’uscita del metrò».
Dopo una settimana s’intravede un embrione di organizzazione, concetto non gradito a molti. Nuit Debout è diventato un piccolo villaggio con un’infermeria, il punto per l’assistenza legale, una mensa a offerta libera. «Ieri abbiamo fatto couscous vegano. Con il freddo e la pioggia stasera ci sarà una minestra di zucca» spiega Sam, che di mestiere fa l’attore ma s’improvvisa nella distribuzione di circa duecento pasti.
Da poche ore esiste RadioDebout che trasmette online le assemblee, mentre si sta creando una televisione in streaming. «Qualcuno può darci una chiavetta 4G?» chiede uno dei promotori sul profilo Twitter. Sono in corso diversi atelier: una lotteria per eleggere rappresentanti democratici, la creazione di un “salario a vita”.
I neofiti devono imparare nuovi codici di comunicazione. Per esprimere il consenso niente applausi ma mani alzate che ruotano, braccia incrociate per segnalare il proprio disaccordo, mani sulla testa a forma di cappello quando il dibattito va fuori controllo e bisogna calmarsi.
Ieri Nuit Debout ha lanciato una petizione che non contiene «nessuna rivendicazione precisa » ma deve essere uno strumento per «contarsi» e «contare ». La protesta contro la riforme del Lavoro è solo la «goccia che ha rotto la diga», aprendo allo sfogo dell’indignazione contro il “neoliberismo”, «un sistema che è a fine corsa» e un governo impopolare.
Non ci sono padrini. Neanche il regista e giornalista François Ruffin, vuole prendersi il merito. L’autore del documentario “Merci Patron”, che denuncia i metodi sindacali di Bernard Arnault, patron di Lvmh, è stato tra i primi a spingere per una contestazione popolare. «Il minimo comune denominatore tra i tanti che si uniscono al movimento è la delusione e la lontananza dai partiti» ha spiegato Ruffin che ha partecipato alla nascita del collettivo per la Convergenza delle Lotte. Ma quando il regista si è presentato in piazza molti non l’hanno riconosciuto.
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È una piccola avanguardia che potrebbe scomparire in una notte: i numeri sono pochi, amplificati da media e social network. Molti aspettano di capire se sabato, quando è prevista la prossima manifestazione contro il governo, ci sarà un sussulto cittadino. O se invece tutti si sveglieranno vedendo che sono il 9 aprile e non il 40 marzo.
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