
UN PO’ PIU’ DI RISPETTO SE LO MERITAVA GIORGIO ARMANI DA PARTE DEL GOVERNO – SOLO IL MINISTRO…
PAGHERETE CARO, PAGHERETE TUTTO. ANCHE SU INTERNET – È FINITO IL TEMPO IN CUI IN RETE I SERVIZI ERANO A COSTO ZERO, ORA BISOGNA APRIRE IL PORTAFOGLI – PER ASCOLTARE LA MUSICA OCCORRE PAGARE SPOTIFY, PER VEDERE FILM O SERIE TV È NECESSARIO SOTTOSCRIVERE UN ABBONAMENTO ALLE PIATTAFORME DI STREAMING – ANCHE I SOCIAL SONO DIVENTATI A PAGAMENTO, META HA INTRODOTTO IN ITALIA UN “SISTEMA A DUE VELOCITÀ” PER INSTAGRAM E FACEBOOK CHE PERMETTE DI ELIMINARE LA PUBBLICITA’ – LO SCHEMA È SEMPRE LO STESSO: L'UTENTE VA SPREMUTO FINO ALL'ULTIMO CENTESIMO. E COSI’ INTERNET È DIVENTATO UN SUPERMERCATO DIGITALE, CON SCAFFALI A PIÙ PREZZI...
Estratto dell’articolo di Alessia Cruciani per “L’Economia – Corriere della Sera”
C’era una volta un immenso bazar gratuito... È iniziata così la favola di Internet, un mondo in cui tutto era facilmente a portata di mano: musica, film, notizie, perfino strumenti di produttività. [...]
Certo, qualcuno avvertiva: «Se non paghi il servizio, il prodotto sei tu». In effetti, per anni ha funzionato questo baratto implicito, con i nostri dati ceduti alle piattaforme per alimentare il mercato pubblicitario. Quell’equilibrio è rimasto in piedi a lungo, garantendo agli utenti la sensazione di avere accesso illimitato e gratuito al mondo digitale.
Ma oggi quella stagione sembra giunta al capolinea. A confermarlo è il recente aumento degli abbonamenti annunciato da Spotify, ma la lista è lunga e attraversa tutto il panorama digitale, da Netflix a Meta, da Amazon a X (ex Twitter).
Spotify ha comunicato che a partire da settembre il prezzo dell’abbonamento premium salirà di un euro al mese: da 10,99 a 11,99 in Europa, Asia meridionale, Asia-Pacifico, Medio Oriente, Africa e America Latina.
[...] I precedenti Spotify non è sola. A luglio Meta ha introdotto in Italia un sistema a due velocità per Instagram e Facebook: gratuiti ma con pubblicità (e con i dati personali trattati a fini di inserzioni) oppure senza pubblicità a pagamento.
Il costo parte da 7,99 euro al mese per il primo account e da 5,00 euro per ciascun account aggiuntivo. «Anche se ti abboni — ha precisato l’azienda — continuerai comunque a vedere i post e i messaggi delle aziende e dei creator». In altre parole, l’assenza di inserzioni non significa la fine del flusso commerciale.
Netflix aveva già ritoccato i prezzi nell’ottobre 2024 in Italia e Spagna: il piano Premium è salito a 19,99 euro dai 17,99 precedenti; lo Standard è passato da 12,99 a 13,99 euro; mentre il piano con pubblicità, scelto da una quota crescente di utenti, è aumentato da 5,49 a 6,99 euro. Un rialzo generalizzato, valido sia per i nuovi clienti sia per quelli esistenti. La piattaforma aveva già eliminato anche il periodo di prova gratuito, obbligando chiunque a pagare fin da subito. Disney+ si è mossa in parallelo.
Poi ci sono le «spunte blu». Elon Musk, poco dopo l’acquisizione di Twitter (oggi X), ha trasformato il bollino di account verificato in un servizio a pagamento. Una scelta imitata da Mark Zuckerberg per Facebook e Instagram, che ha reso oneroso un simbolo un tempo connesso alla reputazione pubblica di aziende, media e celebrità.
«La ragione più semplice di questi aumenti è che le imprese vogliono incrementare i profitti — interviene Nicoletta Corrocher, docente di Economia applicata alla Bocconi —. Spotify, per esempio, nasce come servizio gratuito ma ha introdotto il Premium peggiorando progressivamente l’esperienza di chi resta sulla versione base.
Oggi circa il 40% dei suoi utenti paga, un dato molto alto se pensiamo che la musica si può ascoltare anche gratis. Netflix ha seguito una logica simile, creando più versioni dello stesso prodotto: con pubblicità, senza pubblicità, condivisione dell’account. È una classica strategia di discriminazione di prezzo, che si usa anche offline.
netflix amazon prime disney plus
Nel mondo digitale però costa poco differenziare i servizi: basta un clic per aggiungere o togliere pubblicità».
Amazon Prime è un altro esempio. Nato per offrire spedizioni più rapide e gratuite, nel tempo ha aggiunto video, musica, cloud fotografico.
Il prezzo annuale è aumentato più volte: dai 9,99 euro nel 2011 ai 49,90 euro attuali, ma la fidelizzazione resta alta. «Gli utenti sono restii a cambiare una volta inseriti negli ecosistemi digitali — osserva Corrocher —. L’algoritmo mi conosce, propone contenuti personalizzati. Ricreare da zero questo ambiente altrove comporterebbe costi di tempo e attenzione, non solo economici».
Dietro i rincari c’è anche il limite del modello pubblicitario. Dopo il boom durante la pandemia, gli introiti degli annunci hanno mostrato segni di rallentamento. «Fondare un business solo sulla pubblicità non basta più — prosegue Corrocher —. Meta ha diversificato aprendo al commercio elettronico, Instagram e TikTok sono diventati canali cruciali per lo shopping. Al tempo stesso, per avere servizi di qualità gli utenti hanno interiorizzato l’idea che bisogna pagare. L’impatto per il singolo è minimo: un euro in più al mese su Spotify è sostenibile, ma moltiplicato per centinaia di milioni di abbonati diventa enorme».
[...] Così si chiude la favola: la Rete non è più il grande bazar gratuito di un tempo. È diventata un supermercato digitale, con scaffali a più prezzi. Alcuni continueranno a scegliere la corsia «free», accettando gli spot. Altri pagheranno per saltare le file. Ma la sensazione è che, comunque vada, il conto alla cassa toccherà a tutti.
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