DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Antonella Barina per “Il Venerdì di Repubblica”
Castel gandolfo. Era il 4 ottobre 1962 quando, per la prima volta dall’Unità d’Italia, un papa usciva in treno dalla Città del Vaticano. E il pellegrinaggio di Giovanni XXIII a Loreto e Assisi – su un convoglio che lungo la strada si fermò a ogni stazione, accolto da folle entusiaste, accalcate fin sulle rotaie – fu seguito da radio e televisioni di tutto il mondo. In viaggio con il papa, benedicente al finestrino, alti prelati e il capo del Governo, Amintore Fanfani.
Ad accogliere il pontefice a Loreto, il capo dello Stato Antonio Segni. Che gli aveva prestato quel treno d’eccezione, tutto legno, ottone e broccati, commissionato negli Anni 30 dai Savoia e poi passato alla Presidenza della Repubblica: una sorta di Air Force One d’antiquariato, che saettava su e giù per l’Italia con i big della nomenclatura. Una dozzina d’anni dopo quel convoglio Belle époque fu smembrato. Le carrozze furono assegnate ciascuna a una diversa carica istituzionale e, agganciate alle normali vetture di linea, sono a lungo servite come ufficio itinerante per presidenti e ministri globetrotter (su quella assegnata a Spadolini è stato perfino ritrovato il suo accappatoio XXL).
LA CARROZZA SALONE USATA NELL 800 DA PIO IX
Ma nessun papa, dopo il bagno di folla di Giovanni XXIII, usò più quel treno d’antan, preferendo veicoli più moderni e veloci. Solo ora la più prestigiosa delle sue carrozze, la cosiddetta S6 – il Salone di Stato 6 – torna a San Pietro, restaurata di tutto punto dalla Fondazione Ferrovie dello Stato.
E l’11 settembre inaugurerà la linea che d’ora in poi, nei weekend, porterà i turisti dalla Città del Vaticano alle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, dove apriranno al pubblico spazi da sempre riservati solo al papa e al suo staff. Il vagone, trainato da una locomotiva a vapore del 1915 e seguito da antiche vetture «cento porte» (ogni scompartimento un’entrata), partirà da una stazione che è sempre stata off limits per tutti noi: quella interna alle mura vaticane, costruita dopo i Patti Lateranensi, quando fu consentito al piccolo Stato della Chiesa di collegarsi alla rete ferroviaria italiana.
LA CARROZZA SALONE USATA NELL 800 DA PIO IX OGGI ABBANDONATA
Ed ecco, all’arrivo a Castel Gandolfo, la Fattoria pontificia, da cui provengono i prodotti agricoli della mensa papale, e alcune sale del Palazzo Apostolico, residenza estiva dei pontefici, trasformate in museo: luoghi finora inaccessibili. Ma anche i maestosi giardini di Villa Barberini, aperti al pubblico l’anno scorso, con gli straordinari resti della residenza di campagna dell’imperatore Domiziano, tra le dimore più grandiose dell’antichità.
(Attenzione: dopo la giornata inaugurale, il convoglio storico verrà usato solo saltuariamente, in date da concordare, sostituito da un treno più moderno. Ma il nome vale comunque il viaggio: Frecciasanta. Info: museivaticani.va e tel. 6988 3145-4676).
È stato Jorge Mario Bergoglio a voler schiudere al pubblico tesori appartenuti per secoli alla sfera privata dei papi. Ennesimo segnale d’apertura, sottolinea monsignor Paolo Nicolini, delegato amministrativo dei Musei Vaticani, che con le Ferrovie hanno realizzato l’evento: «Le Ville Pontificie sono uno scrigno di cultura. Renderle più “vicine” è un imperativo categorico, perché la bellezza va sempre condivisa: una bellezza inaccessibile o riservata a pochi eletti è persa, buttata via».
Ma anche una mossa saggia, in epoca di spending review, da parte di papa Francesco, che non fa vacanze, quindi viene poco a Castel Gandolfo. Le Ville Pontificie sono tre, circondate da 55 ettari di terra (30 di giardini e 25 di zona agricola) e ci lavorano 50 dipendenti: mantenerle costa milioni di euro l’anno. Vale la pena di batter cassa con i biglietti d’ingresso. E magari vendere anche qualche prodotto della fattoria con il marchio dop delle insegne apostoliche.
Le proprietà extraterritoriali della Santa Sede vantano 1.500 ulivi secolari; filari d’uva e alberi da frutto; terrazzamenti di ortaggi, odori, erbe officinali. Qui le mucche pascolano sotto una statua del Buon Pastore, non lontane dai ruderi del teatro di Domiziano. Oltre a mangiare i ritagli avanzati da una (non lontana) produzione di ostie. E questa stalla è una delle rare enclaves al mondo dove nascere femmina è un vantaggio: manzi e tori finiscono al mercato. Anche se la vita delle 35 vacche da latte è rigorosamente casta: vengono fecondate artificialmente. Da queste parti non ci sono maiali. Ma 500 galline ovaiole e 500 polli ruspanti, mamme e figli.
Alessandro Reali, responsabile dei giardini e della produzione agricola, che vive qui con la famiglia da 23 anni, sta riempiendo grandi ceste di vimini: sulla prima c’è scritto «Papa Francesco», su un’altra «Benedetto XVI» e via con gli altri vertici della gerarchia ecclesiastica. È sulla loro tavola che finiscono yogurt, mozzarelle, ricotte e altre delizie casearie lavorate da Emilio, il latte munto da Ilario, le uova raccolte da Claudio, gli ortaggi bio (ma senza integralismi).
Quel che non va nelle ceste va allo spaccio annonario della Città del Vaticano e ai dipendenti delle Ville. Personale selezionato da molti mesi di prova, per condotta morale e irreprensibilità. Mestieri che spesso si trasmettono di padre in figlio.
Ora c’è chi rastrella le foglie secche, chi pota le siepi di bosso, chi su un declivio ritocca lo stemma di papa Francesco, fatto di fiori e sassi colorati. Tutto è curato alla perfezione, secondo protocolli secolari. «Da quando Urbano VIII affidò all’architetto Carlo Maderno la ristrutturazione del Palazzo Apostolico e ne fece la propria residenza estiva, nel 1627», racconta Osvaldo Gianoli, direttore delle Ville di Castel Gandolfo. Seguirono Villa Barberini e Villa Cybo, grandiose dependences.
castel gandolfo ville pontificie
E un viavai di papi e porporati. Dei 32 pontefici dopo Urbano VIII, 16 alloggiarono qui e 16 no. Con una breve parentesi, dal 1870 al 1929: dalla caduta dello Stato Pontificio, quando i papi furono confinati a San Pietro, fino ai Patti Lateranensi, quando Castel Gandolfo tornò alla Santa Sede. «Fu allora che Pio XI acquistò gli orti della fattoria», continua Gianoli. «Nell’autarchia degli Anni 30, anche il Vaticano si garantiva un’autosufficienza economica».
Entrando da Villa Barberini si arriva, attraverso un corridoio di lecci, al viale del Belvedere, con vista fino al mare. A destra, l’agrumeto e il labirinto, capolavori d’arte topiaria, quella che dà forme geometriche alle piante. Lungo il percorso, statue romane, ninfei, una fontana con i segni zodiacali laccati in oro zecchino... Poi l’eliporto, dove si sono incontrati i due papi, Francesco e Benedetto, e sono atterrati i due Bush, padre e figlio. E l’ulivo donato da re Hussein di Giordania; gli ortaggi giganti offerti da Michelle Obama. Con i doni ricevuti da sovrani e notabili Papa Wojtyla organizzava riffe per i suoi dipendenti: estraeva i numeri di persona e via un tappeto persiano, un vaso cinese, un modellino di nave. Si divertiva un mondo, dicono qui, ringiovaniva di dieci anni.
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