DAGOREPORT - ‘’RESTO FINCHÉ AVRÒ LA FIDUCIA DI GIORGIA. ORA DECIDE LEI”, SIBILA LA PITONESSA. ESSÌ,…
Fabio Scuto per “la Repubblica”
In una palazzina anonima alla periferia di Raqqa, la capitale de facto dello Stato islamico bombardata ieri a più riprese dall’aviazione militare giordana, sarebbe rimasta uccisa Kayla Jean Mueller, la giovane cooperante americana di 26 anni rapita nell’agosto del 2013. La notizia della morte di Kayla, unica donna e ultimo ostaggio americano nelle mani dei miliziani del Califfato, è stata diffusa dal media center del Califfato. Ma l’annuncio suscita molti dubbi a Washington e ad Amman.
«Non ci sono prove», ha commentato il Pentagono. «È solo un’altra trovata pubblicitaria» dei jihadisti, ha detto alla tv il ministro giordano degli Interni, Hussein Majali. «Hanno provato a causare problemi all’interno della Giordania, ma non ci sono riusciti. Ora provano a creare una spaccatura nella coalizione con quest’ultima, scarsa, trovata pubblicitaria».
Cautela anche della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato, «non esiste nessuna prova di quanto annunciato ». Anzi secondo Rita Katz, tra i fondatori del sito di intelligence “Site” che ha diffuso la notizia ieri pomeriggio, «è possibile che sia stato l’Is a uccidere la cooperante americana per addossarne la colpa alla Coalizione».
A fermare l’”Operazione martire Muath”, come è stata chiamata in codice l’offensiva aerea in nome del pilota arso vivo, non basterà l’annuncio dell’Is. Sostenute dalla reazione di un Paese che si è stretto attorno al re Abdallah, le forze armate giordane continuano a bombardare le postazioni dell’Is in Siria e Iraq, mentre spostano anche truppe di terra al confine con il territorio iracheno dove è più forte la presenza dei jihadisti.
La rappresaglia per la morte del pilota Moaz al Kaseasbeh «è solo all’inizio», ha annunciato il ministro degli Esteri Nasser Judeh. I miliziani dello Stato islamico «pagheranno per ogni capello di Moaz», tuonano le forze armate di Amman. Missioni a ciclo continuo contro i santuari del Califfato a Raqqa, adesso allargate anche nel nord Iraq e nella provincia di Al Anbar, che confina con il regno hashemita. «Daremo loro la caccia e li sradicheremo, perché siamo in prima linea e questa è la nostra battaglia», spiega il ministro Joudeh.
Un Paese che fino a qualche giorno fa era considerato l’anello debole nella Coalizione a guida Usa per i malumori tra l’opinione pubblica sulla partecipazione ai raid contro l’Is sembra essersi trasformato in uno dei più temibili nemici del Califfato grazie alla reazione emotiva scatenata dalle scioccanti immagini del rogo in cui è stato fatto morire il giovane pilota.
Migliaia di persone, tra le quali deputati, rappresentanti dei partiti politici e di clan tribali hanno partecipato ieri a una manifestazione all’uscita della preghiera dalla Moschea Re Hussein nel cuore della capitale giordana, gridando “Morte al Daesh”, l’acronimo che gli arabi usano per l’Is. Tra la folla venivano sventolate bandiere giordane, innalzati cartelli con slogan di sostegno all’esercito e mostrate le foto di Moaz. Mescolata fra la gente, con un maglione a collo alto bianco e la kefiah a scacchi bianchi e rossi sulle spalle, c’era anche la regina Rania.
«Oggi io sono come tutti gli altri giordani, siamo uniti nel nostro dolore e nell’orrore», ha mormorato a voce bassa ai giornalisti, «con il loro atroce atto credevano di spaventare i giordani, ma invece siamo uniti nella nostra determinazione di sbarazzarci di questo male», Non solo i caccia con la bandiera giordana decollano a ciclo continuo dalle basi nel deserto, si stanno muovendo anche le truppe di terra.
ABDULLAH RE DI GIORDANIA CON IL PADRE DEL PILOTA UCCISORE ABDULLAH DI GIORDANIAABDULLAH RE DI GIORDANIA
Migliaia di militari sono stati schierati “preventivamente” lungo i quasi 200 chilometri di frontiera che la Giordania condivide con l’Iraq, specie nella regione irachena di Al Anbar, dove è forte la presenza dell’Is che ha arruolato anche i leader tribali locali. L’esercito di Amman si è schierato nell’area di Ruwaished, opposta alla città di frontiera irachena di Tribil.
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