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TOPI DI ROGNA - SECONDO IL RICERCATORE CINESE WENFENG QIAN, LA VARIANTE OMICRON SI SAREBBE ORIGINATA NEI RATTI: "È PASSATA DALL’UOMO AL TOPO, POI È ARRIVATA A NOI DOPO UN DOPPIO SALTO DI SPECIE" – “L’ALTO NUMERO DI MUTAZIONI POTREBBE SPIEGARSI FACILMENTE SE IL PROGENITORE DI OMICRON FOSSE PASSATO DAGLI UMANI A UNA SPECIE NON UMANA, PERCHÉ…”
Ma da dove è nata la variante Omicron? A cercare di spiegare quanto accaduto alla nuova mutazione del Covid è Wenfeng Qian, ricercatore dell’Institute of Genetics and Developmental Biology della Chinese Academy of Sciences. L'esperto, nel suo nuovo studio in procinto di essere pubblicato sul Journal of Genetics and Genomics, ha ricordato che la Omicron non si è evoluta dalle precedenti varianti.
E allora, gli ha chiesto Repubblica, da dove arriva? "La variante Omicron potrebbe essersi originata nei topi - spiega -, a partire da un suo progenitore passato dall’uomo al topo, e poi essere arrivata a noi dopo un doppio salto di specie".
A suffragare tale ipotesi il fatto che la Omicron ha accumulato il maggior numero di mutazioni nella proteina Spike tra gli oltre 6 milioni di varianti del Sars-CoV-2. Proprio la proteina Spike, secondo gli studiosi, "per la sua capacità di legarsi alle cellule dell’organismo ospite, determina quali e quante specie animali possono essere infettate dal virus".
E questa particolarità di Omicron, l’alto numero di mutazioni, "potrebbe spiegarsi facilmente se il progenitore di Omicron fosse passato dagli umani a una specie non umana, perché questo 'salto' avrebbe richiesto un notevole numero di mutazioni affinché la Spike si adattasse alla nuova specie".
Non solo, a far capire che l'origine potrebbe essere legata ai topi, la sovrapposizione: "Le mutazioni nella proteina Spike della variante Omicron si sovrappongono in modo significativo con le mutazioni del Sars-CoV-2 che sappiamo – per studi precedenti – promuovere l’adattamento del virus ai topi".
Una scoperta, quella realizzata dal team di Qian, che "enfatizza la necessità di una sorveglianza virale – e di sequenziamenti – negli animali, soprattutto in quelli più a contatto con l’uomo". E, soprattutto, consente agli scienziati di prevenire future diffusioni di nuove varianti.
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