liu jianchao xi jinping

SISTEMA PECHINESE: BASTA UN SOSPETTO E SEI FRITTO – LIU JIANCHAO, RESPONSABILE ESTERI DEL PARTITO COMUNISTA CINESE, È STATO ARRESTATO IN CINA AL SUO RIENTRO DA UNA MISSIONE ALL’ESTERO – IL 61ENNE È UN FEDELISSIMO DI XI JINPING E IN AMERICA ERA CONSIDERATO IL “MINISTRO DEGLI ESTERI IN PECTORE”, CHE AVREBBE POTUTO AVVICINARE CINA E STATI UNITI – COS’HA FATTO DI MALE PER FINIRE IN MANETTE? IL SOSPETTO È CHE…

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Estratto dell’articolo di Paolo Salom per il “Corriere della Sera”

 

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[…] Liu Jianchao, 61 anni, direttore del Dipartimento internazionale del Partito comunista cinese, da tempo in lizza per assumere la carica di ministro degli Esteri, è stato «fermato» dalle autorità e sottoposto a interrogatorio al suo ritorno da un viaggio oltre confine. Lo annuncia il Wall Street Journal , «informato da persone vicine» alla questione.

 

In soldoni: la polizia politica del Pcc, forse l’organismo più potente (e temuto) nella Repubblica popolare, si è presentata alla porta di casa di Liu e, con la procedura in uso in questi casi — nessuna spiegazione —, ha portato l’importante dirigente in un luogo segreto.

 

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Di che cosa deve rispondere Liu Jianchao? In genere, le accuse che possono portare alla rovina un esponente del regime sono due: corruzione o comportamento indegno (per esempio una relazione extraconiugale). […] In Cina la destituzione di un uomo di Stato, soprattutto se vicino al presidente Xi Jinping, è coperta da una cortina di segretezza assoluta. Provare a rimuoverla equivale a fare la stessa fine.

 

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Il fermo di Liu Jianchao risponde agli stessi principi. Per capirne di più possiamo soltanto provare a ripercorrere la sua carriera. Come racconta il Wsj , il diplomatico è scomparso dalle scene lo scorso luglio, al ritorno da un viaggio di lavoro. Non è dato sapere se la missione all’estero è il motivo alla base della sua disgrazia. Di certo si sa che, un anno fa, rientrato da una lunga trasferta americana, fu lodato per aver sottolineato che i rapporti tra «Cina e Stati Uniti devono rimanere stabili» per il bene del mondo.

 

Ma nel frattempo le relazioni tra Pechino e Washington si sono ridotte al minimo storico. Liu ha forse incontrato qualche esponente politico americano considerato off limits dal regime? Ha forse detto, o ascoltato, qualche parola di troppo?

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[…] Considerato un fedelissimo di Xi Jinping, a un certo punto del suo percorso diplomatico — nel 2015 — Liu Jianchao è stato distaccato all’ufficio anti corruzione: già, proprio quell’organismo che, su ordine personale del Nuovo Timoniere, è andato alla caccia di tutti i dirigenti arricchiti grazie al loro ruolo. Nelle maglie della rete gettata a strascico («Operazione caccia alla volpe») sono finiti in molti. Spesso la scelta su chi colpire non era estranea alla posizione politica del reprobo: un alleato di Xi o un potenziale avversario (nemico)?

 

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[…] Perché tutto questo? Al di là di una possibile amante (se c’era, la relazione è stata vissuta con la necessaria discrezione), Liu era considerato, negli Stati Uniti, un uomo del dialogo, un personaggio in ascesa che avrebbe potuto avvicinare Cina e America.

 

[…]  Viaggiava all’estero di frequente, incontrava esponenti del mondo politico e industriale dell’Occidente, con i quali manteneva proficui contatti. Al punto che a Washington era considerato il «ministro degli Esteri in pectore». E qui potrebbe essere la chiave per comprendere la sua improvvisa disgrazia: a Pechino qualcuno ha forse giudicato il suo attivismo troppo «personalistico», quando tutto deve calare dall’alto.

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Non solo: in tempi di crescente contrapposizione strategica tra le due maggiori potenze mondiali, Liu Jianchao potrebbe aver ceduto il fianco all’accusa più pericolosa: amico del nemico. E tanto è bastato a mandare la polizia politica alla sua porta.