DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Ansaldo Agnieszka Zakrzewicz per “la Repubblica”
Erano felici i fedeli di Juncalito, nella provincia di Santiago, un’ora di strada dalla capitale della Repubblica Dominicana. Padre Alberto, come lo chiamavano, al secolo il reverendo Wojciech Gil, era ancora una volta riuscito a organizzare un viaggio in Europa per i bambini della parrocchia. Certo, era proprio in gamba quel prete polacco: giovane, massiccio, «un macho» lo ricordano oggi.
Quando poi compariva a bordo di una moto, o del suo pick-up argentato, in molti lo guardavano con ammirazione. Così come osservavano con un pizzico di invidia e di inquietudine l’arma che portava, una pistola, pure quella argentata. Per vederla i ragazzini salivano sulla jeep, e poi via, verso qualche posto riparato, dove padre Alberto li fotografava, li accarezzava, succedeva anche altro ma nessuno disse mai cosa.
Per molti anni tutto questo rimase un segreto, fra il prete polacco e i bambini di Juncalito. Poi, però, all’improvviso qualcosa accadde. E padre Alberto scomparve, da un giorno all’altro. Vacanza in Polonia. La polizia, però, sapeva perché: fece irruzione nella canonica. Accese il computer sul tavolo. E d’incanto apparvero quelle immagini. Tante: 87mila, dissero gli agenti. Contenute nell’hard disk della parrocchia. Le foto dei bambini abusati di Santo Domingo.
interpol padre alberto wojciech gil
«Molte erano pornografiche — raccontò il vice procuratore Bolivar Sanchez — In alcune i maschi posavano indossando della lingerie, come se fossero femmine. In altre si vedevano minori mentre avevano rapporti con adulti, e bambini avere relazioni omosessuali fra di loro». Sulla base delle imbeccate avute, i poliziotti passarono quindi a visionare il computer dell’amico di padre Alberto, anch’egli polacco, e addirittura ambasciatore della Santa Sede a Santo Domingo, il vescovo Jozef Wesolowski.
Qui le foto erano ancora di più: 100mila, un archivio con tanto di video e file allegati. Scattò la denuncia della Procura dominicana, e la notizia approdò in Vaticano. Wesolowski venne richiamato a Roma.
La storia risale all’agosto del 2013. Ma nessuno a Juncalito ha dimenticato le scorribande di padre Alberto. Da allora la linea fra la giustizia dominicana e quella polacca è diventata bollente, gli scambi di informazione continui. A settembre anche Varsavia comincia a indagare sul cittadino Wojciech Gil, di professione presbitero.
E finalmente, l’ex padre Alberto viene scovato. È vicino a Cracovia, nascosto in una casa del clero. Le informative inviate dai magistrati di Santo Domingo dicevano che le vittime, 15 ragazzi che avevano vuotato il sacco e raccontato quel che accadeva sul pick-up argentato del prete, non lo avevano mai riconosciuto in foto. Gil era stato attento. Però nelle immagini, a guardare bene, c’erano le sue mani. Attraverso intrecci di indagine esteri, l’Interpol arriva spiccare un mandato. Nessun arresto, ma una notifica di dimora.
A gennaio 2014 la procura di Santo Domingo chiude l’inchiesta e accusa il prete polacco di due reati: atti sessuali contro minori e possesso di materiale pedopornografico. Gil nega tutto, dice che il caso di pedofilia è stato montato ad arte dai trafficanti locali perché lui sottraeva i ragazzi alla droga. Viene sospeso dal sacerdozio dai superiori del suo Ordine di San Michele. Il Vaticano è al corrente di tutto.
Dalla Segreteria di Stato seguono lo scandalo del nunzio Wesolowski. Papa Francesco vuole una linea durissima sui fatti degli abusi sessuali interni. La lobby pedofila polacca, evidenziata nella Repubblica Dominicana dal duo Wesolowski-Gil, è purtroppo una questione nota. Negli anni di Karol Wojtyla, mentre il Papa era impegnato nella difesa dei cattolici sul fronte dell’Est Europa, alcuni sacerdoti omosessuali fuoriuscirono dalla Polonia per arrivare a Roma, oppure trovare rifugio e nuova vita in America Latina. Però, oggi, la banda dei preti pedofili finisce per mettere in imbarazzo tutta la Chiesa.
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