DAGOREPORT – REGIONALI DELLE MIE BRAME! BOCCIATO IL TERZO MANDATO, SALVINI SI GIOCA IL TUTTO PER…
Fabio Tonacci per “la Repubblica”
«Eccola, Giovannina. È lei, guarda...». Matteo Fatello ti presenta così la figlia che non ha più. Senza aggettivi, senza premesse, mostrandoti un video sul telefonino. Due bambini, lei e suo fratello, che schiamazzano in camera da letto, una qualche sera di una vita fa.
Ora, seduta al tavolo di un bar di Roma, c’è sua madre Valentina che piange in silenzio e non riesce a tener ferme le gambe. Accanto a lei un uomo alla ricerca di un perché, uno qualsiasi a questo punto. Per la prima volta hanno deciso di parlare. «Mia figlia è morta otto mesi fa per un’operazione all’orecchio che doveva essere di routine — dice Matteo, 47 anni, laureato e falegname — nessuno ci ha ancora spiegato cosa è successo. Otto mesi... Vogliamo un processo, abbiamo diritto alla verità».
villa mafalda giovanna fatello
La mattina del 29 marzo scorso Giovanna Fatello, 10 anni, «perfettamente sana» stabilirà poi l’autopsia, entra nella clinica romana Villa Mafalda per una timpanoplastica. Quaranta minuti al massimo sotto i ferri, e quella fastidiosa otite che la perseguita da due anni sarebbe sparita. L’intervento inizia alle 9.30, alle 13.40 viene dichiarata morta. «Arresto cardiaco in asistolia».
Il pm Mario Ardigò apre un’inchiesta per omicidio colposo, dieci indagati tra cui il chirurgo Giuseppe Magliulo, gli infermieri, gli assistenti, gli anestesisti Pierfrancesco Dauri e Federico Santilli.
La posizione di questi ultimi due è la più delicata, perché la perizia medico legale ha accertato una serie di «lacune descrittive ed errori di gestione delle diverse fasi del procedimento anestesiologico», nonché l’esistenza di «elementi idonei a correlare l’asistolia (blocco della circolazione sanguigna, ndr ) a un periodo non quantificabile di ipossia (mancanza di ossigeno, ndr) di cui è responsabile l’anestesista e un ritardo nell’inizio delle manovre di rianimazione ».
Quella mattina di otto mesi fa, cosa accadde?
Matteo: «Arriviamo a Villa Mafalda alle 8, rimaniamo in camera e non si presenta nessuno a fare l’anamnesi di Giovanna, né Dauri né Magliulo. Nemmeno viene sottoposta a una pre-anestesia, come invece ci è stato spiegato si è soliti fare con i bambini per tranquillizzarli ».
Valentina: «Poi due infermieri ci dicono di scendere in sala operatoria. Io vado con mia figlia, incontro Dauri, nel camice ha un cellulare da cui esce della musica. Solo allora mi fanno firmare il consenso informato. Lo avverto che io sono soggetta ad orticarie, ho delle allergie... pensavo fosse utile che lo sapessero, magari anche la bambina poteva esserlo. Giovanna mi ha chiesto: “quanto dura l’intervento?”. Poi l’hanno addormentata, ed è l’ultima volta che l’ho vista viva».
Quando vi accorgete che qualcosa sta andando storto?
Matteo: «Dopo un’ora e mezzo scendo, c’è il chirurgo sulla porta. Quella faccia, e chi se la dimentica... ho capito subito che la situazione era degenerata. Per me il processo è iniziato e finito lì, con quella faccia. Mi dice che l’operazione è andata benissimo, il resto malissimo. Il resto cosa? C’era un viavai di gente, in preda al panico non capivo, nessuno mi spiegava. Allora fermo il capo sala e gli urlo “dimmi la verità, dimmi la verità”. Lui mi fa sentire il bip della macchina chirurgica e mi dice che è il cuore di Giovanna che ancora batte. Poi, erano le 12.30 circa, esce Dauri, l’anestesista. Non l’avevo mai visto prima, si mette a 5 metri di distanza e mi dice che nella sua carriera aveva salvato molte vite, che era più dispiaciuto di me e che mi dovevo preparare al peggio».
Dopo quel giorno, qualcuno della clinica si è fatto vivo con voi?
Valentina: «Nessuno di quelli che erano in sala, né subito dopo la morte di mia figlia, né per i successivi otto mesi. Nessuno ha avuto il coraggio o la coscienza di venire a spiegare ai genitori di una bambina morta quello che è successo dalle 10 alle 13.40, da quando è cominciata l’ipossia a quando hanno cessato le manovre di rianimazione. Un buco nero di quasi quattro ore».
Matteo: «Anzi, ci sono arrivate delle lettere anonime che incolpavano alcuni dottori. Ecco, gli anonimi mi fanno più schifo degli altri che sono rimasti zitti».
Negli interventi chirurgici, anche i più semplici, c’è sempre un margine di rischio. Perché non siete convinti della buona fede di quei dottori?
Valentina: «Perché ci sono state troppe anomalie, troppe contraddizioni... ».
Ad esempio?
Matteo: «Non hanno fatto l’anamnesi a Giovanna prima di operarla. Dauri in un interrogatorio sostiene che il chirurgo lo aveva mandato da noi perché non sapeva su quale orecchio doveva intervenire. Nel corpo di mia figlia, poi, sono stati trovati dei farmaci e dei liquidi di cui non c’è traccia nella cartella clinica, praticamente vuota.
Dauri inoltre, come dichiara l’altro anestesista Santilli davanti al pm, si è allontanato dalla sala tra le dieci e le dieci e mezza. Perché? E perché gli altri indagati hanno negato questa circostanza? Il macchinario che segnalava i parametri vitali era malfunzionante, ed è stato resettato il 31 marzo. Perché? Pure il saturimetro, che indica l’ossigenazione, era rotto. Perché la procura ha aspettato sette mesi per interrogare gli infermieri e il personale di sala? Non sto parlando da padre ferito e irragionevole, è tutto scritto negli atti dell’inchiesta».
La procura sta ancora lavorando, le indagini non sono chiuse. Cosa vi aspettate?
Matteo: «Guardi, io ero anche pronto a perdonare i dottori, perché tutti possono sbagliare. Dovevano venire da noi a spiegarci cosa era successo in quelle tre ore e quaranta, minuto dopo minuto, e chiederci scusa. Ma non si è visto nessuno. Allora vogliamo che sia un tribunale a stabilire chi ha sbagliato, perché ciò che ci è successo a noi non accada anche ad altri».
Valentina: «Ci dicano una volta per tutte come è morta Giovanna. Ho visto troppa omertà attorno alla nostra tragedia, e non è giusto».
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