2 francesca vecchioni e alessandra con le loro gemelle

MATRIMONIO A TEMPO DETERMINATO – LA CASSAZIONE DECIDE CHE L’UNIONE IN CUI UNO DEI DUE PARTNER CAMBIA SESSO RESTA VALIDA, MA IN ATTESA CHE IL PARLAMENTO RICONOSCA LE UNIONI GAY

di Elena Tebano da “Corriere.it

 

 

Un riconoscimento «a tempo» del matrimonio tra due persone dello stesso sesso. È la conseguenza della sentenza di martedì della Corte di Cassazione sulle nozze tra Alessandra Bernaroli, donna transessuale di 44 anni, e la moglie (anche lei Alessandra). Le loro nozze contratte nel 2005 quando Bernaroli era ancora un uomo – hanno stabilito i supremi giudici – non potranno essere cancellate finché il Parlamento non avrà riconosciuto le unioni gay.

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La Cassazione, rifacendosi alla sentenza del giugno scorso della Consulta sul caso scrive che, «in virtù della protezione costituzionale (nonché convenzionale ex articolo 8 Cedu) di cui godono le unioni tra persone dello stesso sesso», «non può essere costituzionalmente tollerato» che con un eventuale annullamento del matrimonio, «tali unioni possano essere private del nucleo di diritti fondamentali e doveri solidali propri delle relazioni affettive sulle quali si fondano le principali scelte di vita e si forma la personalità» .

 

 Se così fosse le due donne passerebbero infatti da una condizione di tutela piena dei loro diritti e doveri di coppia, a una condizione di assoluta mancanza di tutela. E quindi, concludono i supremi giudici, risulta «necessario» «accogliere il ricorso e conservare alle parti ricorrenti il riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al vincolo matrimoniale legittimamente contratto fino a quando il legislatore non consenta ad esse di mantenere in vita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi».

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Le due Alessandre vogliono rimanere sposate

La sentenza della Cassazione è l’ultima puntata di una lunga battaglia legale condotta nelle aule giudiziarie da Alessandra Bernaroli e dalla moglie, assistite dagli avvocati della Rete Lenford Anna Maria Tonioni e Francesco Bilotta. Le due si erano sposate nel 2005 quando Bernaroli si chiamava ancora Alessandro ed era un uomo. Poco dopo ha iniziato la transizione e nel 2009 ha ottenuto il cambio di sesso legale sui documenti.

 

L’ufficio anagrafe della città in cui risiedeva, Bologna, a quel punto ha annullato d’ufficio il suo matrimonio: Bernaroli lo ha saputo solo al momento del rinnovo della carte di identità e ha scoperto che sullo stato di famiglia, mentre la moglie risultava ancora coniugata, lei aveva la dicitura «stato civile non documentato». Così ha fatto ricorso in tribunale contro l’annullamento delle nozze, spiegando che in Italia il divorzio può avvenire solo sulla base della sentenza di un giudice (e non per decisione di un ufficiale dell’anagrafe) e su richiesta di almeno uno dei due coniugi.

 

Mentre le due Alessandre vogliono tuttora rimanere sposate. In primo grado il Tribunale di Modena aveva accolto la richiesta della coppia, mentre in secondo grado i giudici di Bologna avevano ritenuto corretto l’operato dell’ufficiale di stato civile.

 

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Il ricorso alla Cassazione

Le due donne si sono allora rivolte alla Cassazione, che per dirimere il caso ha sollevato la questione di fronte alla Corte costituzionale, chiedendo se il divorzio imposto, cioè la scioglimento automatico del matrimonio, non violasse la costituzione. La Consulta con la sentenza 170 del giugno scorso ha stabilito che chi cambia sesso non può essere costretto automaticamente al divorzio, ma non è neppure possibile far dipendere il mantenimento del matrimonio dalla volontà dei coniugi, perché la legge italiana non prevede le nozze tra persone dello stesso sesso.

 

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La Corte costituzionale aveva già anche sollecitato con forza il Parlamento a introdurre quanto prima una forma di regolamentazione, valida in generale per le coppie dello stesso sesso, che consentisse alla due donne di avere tutele equivalenti a quelle del matrimonio. Il pronunciamento, di fronte al ritardo di un Parlamento che non ha ancora approvato nessuna legge per le unioni civili o le nozze gay, ha reso in un certo senso più difficile il compito della Cassazione: i supremi giudici infatti dovevano comunque decidere sulla vicenda in esame. Da qui la soluzione a tempo.

 

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E la notazione della Cassazione, in cui i giudici sottolineano che non vogliono con questo immettere nell’ordinamento «una concreta regola positiva, non intendendo invadere la competenza legislativa del Parlamento». Ma che «in attesa dell’intervento del legislatore, cui la Corte ha tracciato la via da percorrere, il giudice a quo è tenuto a individuare sul piano ermeneutico la regola per il caso concreto». La palla, insomma, passa ancora una volta al Parlamento.