DAGOREPORT - BENVENUTI AL GRANDE RITORNO DELLA SINISTRA DI TAFAZZI! NON CI VOLEVA L’ACUME DI…
Elena Dusi per “la Repubblica”
Gli uomini se ne sono andati tutti. E a Chernobyl sono tornati gli animali. Nella zona di esclusione — 4.200 chilometri quadri recintati e interdetti alla popolazione — oggi vivono alci, cinghiali, caprioli, cervi, lupi, volpi, lepri e scoiattoli. Li ha censiti (limitandosi ai mammiferi) uno studio pubblicato su Current Biology.
Nel primo decennio dopo l’incidente del 26 aprile 1986 la fauna ha effettivamente sofferto gli effetti delle radiazioni. Ma da allora la popolazione dei mammiferi ha iniziato a crescere costantemente, raggiungendo livelli simili a quelli delle riserve naturali circostanti. Meglio un incidente atomico che la presenza dell’uomo, sembra che pensino gli animali.
Lo studio di Current Biology si limita in realtà a censire con brevi sortite e osservazioni aeree gli esemplari che vivono nella zona di esclusione, senza analizzare lo stato di salute degli animali. «Se non si superano certi livelli, le radiazioni aumentano il rischio di cancro, ma non provocano un’ecatombe. Per gli animali resta possibile crescere e riprodursi» spiega Francesco Bochicchio, che dirige il reparto radioattività ed effetti sulla salute all’Istituto Superiore di Sanità.
E se nei pressi della centrale, protetta da un sarcofago di cemento, si registrano ancora livelli molto alti di radiazioni nel terreno (più di 7,5 milioni di becquerel al metro quadro), a una ventina di chilometri di distanza i valori sono già dieci volte inferiori.
«Ogni anno, in una zona non contaminata, una persona assorbe un millisievert circa di radiazioni» spiega ancora Bochicchio. «Vicino alla centrale oggi il livello sale attorno ai 130. La soglia oltre la quale il danno per gli organismi è certo è dell’ordine di grandezza di un sievert all’anno. Per raggiungerla, a Chernobyl ci vorrebbero circa 8 anni: un tempo compatibile con il ciclo vitale e riproduttivo di un mammifero».
Per Jim Smith, specialista di scienze ambientali all’università di Portmouth e coordinatore dello studio, «è molto probabile che i numeri della natura a Chernobyl siano addirittura migliori rispetto a prima dell’incidente ». La popolazione di lupi nella zona di esclusione è sette volte superiore rispetto a quattro riserve naturali che si trovano nelle vicinanze. Quella di alci, cervi e cinghiali è paragonabile a quella delle riserve. I caprioli sono decuplicati rispetto al 1996. E il numero degli esemplari non sembra diminuire avvicinandosi alla centrale e alle aree di massima contaminazione.
«Quando gli uomini vanno via, la natura fiorisce, anche nello scenario del peggior disastro nucleare del mondo» riassume lo scienziato inglese. «Questo non vuol dire che le radiazioni facciano bene agli animali, ma che gli effetti della presenza umana siano ancora peggiori».
Lo scenario roseo descritto da Current Biology non è però stato confermato da tutti gli studi apparsi finora su Chernobyl. L’anno scorso si era osservato che il danno causato dalle radiazioni ai microbi che vivono nella zona di esclusione ha rallentato la decomposizione delle foglie secche, e il loro accumulo ha fatto aumentare il rischio di incendi. Le popolazioni di uccelli hanno sofferto in maniera diversa a seconda del colore del piumaggio.
Le specie scure, grazie ai pigmenti di melanina che le proteggono dalle radiazioni, se la sono cavata meglio rispetto a quelle dai piumaggi brillanti. E sulle piante le radiazioni sembrano avere un impatto ancora minore rispetto agli animali.
Ma se, all’epoca dell’incidente, 116mila persone furono evacuate per non tornare più, le recinzioni della zona di esclusione oggi non riescono a tenere del tutto lontani gli uomini. I bracconieri sono infatti tornati a sfidare le radiazioni, come dimostrano le ferite degli animali riusciti a scampare ai loro attacchi.
2. “SE L’UOMO SI ALLONTANA LA NATURA RIFIORISCE”
Quando l’uomo fa un passo indietro, la natura rifiorisce. In uno scenario meno drammatico di Chernobyl, un fenomeno simile si sta verificando anche sugli Appennini, racconta Enrico Alleva, professore di etologia alla Sapienza di Roma e presidente della Federazione di scienze naturali e ambientali.
È tanto terribile la presenza dell’uomo?
«Non è solo questo il punto. Quando gli uomini abbandonano delle zone coltivate, lasciano agli animali un’esplosione di risorse. Le viti o gli alberi da frutta producono certo di meno senza la cura degli agricoltori, ma lasciano i loro prodotti agli animali. Uccelli e roditori se ne nutrono, favorendo così i serpenti, che sfamano a loro volta i rapaci ».
Questo è accaduto anche a Chernobyl?
«Immagino che quella zona fosse ricca di agricoltura, non solo campi ma anche orti. Però vorrei capire meglio se gli animali della zona soffrono in qualche modo le conseguenze delle radiazioni. L’esplosione della biodiversità si registra anche nelle zone di guerra, specialmente dove c’è il pericolo di mine. In quel caso però i predatori di grossa taglia rischiano di farle esplodere».
E cosa è successo agli Appennini per entrare nel club delle zone deumanizzate?
«Una grossa fetta della popolazione abruzzese si è trasferita a Roma. Lo spopolamento in realtà ha riguardato anche le zone alpine vicine alle grandi città. Quando l’uomo va via, il bosco si espande. Gli scoiattoli sotterrano le ghiande e poi le dimenticano. Idem fanno le ghiandaie. Gli alberi crescono, a meno che il capriolo con i suoi denti a scalpello non li mangi da piccoli. E anche altre specie come lupi e cinghiali aumentano di numero ». (e.d.)
CHERNOBYL LUPI ANIMALIsvetlana alexievich preghiera per chernobyl
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