DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Claudio Bressani per “la Stampa”
delitto garlasco04 alberto stasi
L’unico punto interrogativo alla fine resta il movente, che non è stato possibile accertare ma va ricollegato a «un pregresso tra vittima e aggressore»: «È la scena del crimine ad individuarlo in quel rapporto di “intimità scatenante un’emotività” che non può che appartenere ad un soggetto particolarmente legato alla vittima». Per il resto, invece, dall’analisi degli elementi di fatto la prima Corte d’assise d’appello di Milano non ha dubbi: è stato Alberto Stasi, «oltre ogni ragionevole dubbio», ad uccidere la fidanzata Chiara Poggi il 13 agosto 2007 a Garlasco.
LO STUDENTE MODELLO
Per questo è stato condannato a 16 anni di reclusione, pena calcolata partendo da una base di 24 e applicando lo sconto di un terzo per il rito abbreviato. In 140 pagine, scritte dalla stessa presidente Barbara Bellerio e depositate ieri, sono condensate le ragioni che hanno portato a ribaltare la doppia assoluzione annullata dalla Cassazione. «Alberto Stasi - si legge nel passaggio chiave - ha brutalmente ucciso la fidanzata, che evidentemente era diventata, per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo “per bene” e studente “modello”».
GLI INDIZI CONFLUENTI
Gli indizi contro di lui sono tanti e sono usciti quasi tutti «rafforzati» dal nuovo processo. Soprattutto vanno valutati non «isolatamente e avulsi dal loro contesto» ma «nella loro possibile confluenza», come ha indicato la Cassazione, cioè con una «lettura congiunta». Scrive la Corte che «Chiara Poggi è stata uccisa da una persona conosciuta, che lei stessa ha fatto entrare».
Per come si è mosso, «l’aggressore conosceva quella casa». Inoltre «era arrivato in bicicletta» e Stasi possedeva non una ma «più di una bicicletta» nera da donna, la cui macrodescrizione è compatibile con quella riferita dalle testimoni. Tale disponibilità per altro «non ha mai menzionato» agli inquirenti. Inoltre «ha reso un racconto incongruo, illogico e falso quanto al ritrovamento del corpo», a partire dall’iniziale tentativo di far credere ai carabinieri che potesse essere stato un incidente domestico: una caduta dalle scale, per altro impossibile perché - rileva la Corte - lui stesso aveva riferito che la porta delle scale era chiusa.
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Ancora: «Sulle sue scarpe non vi erano tracce di sangue né le macchie sul pavimento erano modificate dal suo passaggio» e «sul dispenser del sapone in bagno sono state trovate soltanto due impronte, entrambe dell’anulare destro di Stasi». Sui pedali della sua bici bordeaux, risultati sostituiti, «era presente copiosa quantità di Dna di Chiara, riconducibile a materiale altamente cellulato». Infine l’imputato ha «un alibi che non lo elimina dalla scena del crimine», anzi resta «una finestra temporale compatibile con la commissione del delitto».
IL MOVENTE DELLA VERGOGNA
Resta la domanda più delicata: perché? Alberto, osserva la Corte, aveva il computer pieno di migliaia di immagini pornografiche. Anche di «donne incinte riprese durante atti sessuali, donne mature in pose pornografiche, orge, rapporti indotti con la forza, anche di natura omosessuale, anche raccapriccianti».
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E tutti i giorni le visionava. «Un conto - si legge nella sentenza - sono erotismo e pornografia condivisi, e perciò consapevolmente accettati da due soggetti adulti, altro è venire a conoscenza di interessi del partner “segreti” o di natura tale da non poter essere facilmente “digeriti”». Lei potrebbe avere visto casualmente alcune di quelle immagini. O forse già «in precedenza potevano essere sorte discussioni».
Quale che fosse il motivo, «l’assassino si è portato di prima mattina a casa di Chiara, forse per ottenere o fornire spiegazioni verbali, che al contrario hanno fatto sì che lo stesso di vedesse “costretto” ad aggredire la vittima e a “eliminarla”».
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