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David Ehrlich per “www.indiewire.com”
A 88 anni, Clint Eastwood potrebbe essere definito l'uomo più stakanovista di Hollywood. E ora, con la sua seconda uscita da regista del 2018 ha finalmente spiegato perché. Ispirato da un articolo di Sam Dolnick sul New York Times Magazine, intitolato “The Sinaloa Cartel’s 90-Year-Old Drug Mule,” "The Mule" è un thriller che si sofferma sul pensiero tenero, conflittuale e talvolta molto divertente di come l'America, un Paese in cui il lavoro è un'identità a sé, condizioni le persone a desiderare di essere altro fino a dimenticare se stessi.
A tal fine, è fin troppo facile vedere "The Mule" come un film semi-autobiografico di un uomo immensamente ricco che rifiuta di ritirarsi perché è più riconosciuto come regista che come padre. "The Mule" è anche una storia di strada che si conferma come una delle cose più divertenti che Eastwood abbia mai fatto. Il personaggio può essere visto sotto tre sfaccettature diverse e il film lascia tanto spazio all’interpretazione.
Anche il titolo può essere letto in almeno tre modi diversi, anche se è chiaro a chi si riferisce: il pluripremiato orticoltore Earl Stone (Eastwood) è un vecchio veterano di guerra ostinato che si preoccupa più dei suoi fiori che di chiunque altro. Nel breve prologo del film Earl salta il matrimonio di sua figlia per andare a una premiazione per il suo lavoro.
Quando la storia riprende 12 anni dopo, la fattoria di Earl è stata pignorata, e non gli resta altro che il suo nome e il vecchio camion malconcio che guida da decenni. Questo può sembrare un problema a breve termine per un uomo sulla novantina, ma Earl che sa misurare il suo valore solo in denaro, non può darsi pace. Fino al giorno in cui gli viene chiesto di diventare il corriere da alcuni membri di un cartello della droga. Da quel momento il registro narrativo cambia, mette la marcia. Il film è come se viaggiasse su di un rettilineo su una strada sterrata, poi prende slancio.
La storia di Earl si intreccia con quella di uno dei poliziotti della Dea, interpretato da Bradley Cooper. Tra i due è come se ci fosse un lungo gioco di specchi in cui i due uomini si rivedono l’uno nell’altro, soprattutto sotto l’aspetto dei rapporti con la famiglia.
Uno degli aspetti più intelligenti della sceneggiatura di Schenk è come Earl viene disegnato: come un Robin Hood che usa il denaro sporco di sangue per rinnovare un centro dei veterani, arrivando dove lo Stato non può o si disinteressa. "The Mule" soffre per le deviazioni della storia e condivide gli stessi punti ciechi del suo eroe. Alla fine Earl ha sulle spalle il carico del film, ma il personaggio trasuda abbastanza fascino coriaceo per perdonargli qualsiasi tipo di peccato, sia dentro che fuori dallo schermo.
Earl non è molto lontano dalla nostra comprensione collettiva di Clint Eastwood. Anche nelle “stanche riflessioni di un vecchio” mantiene un'ineffabile onestà. In definitiva questo film, profondamente soddisfacente, rende convincente l'argomento secondo cui il cambiamento è sempre possibile, e che la strada che stiamo percorrendo non è mai così stretta come l'autostrada la fa sembrare.
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