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“QUI E’ DOVE I SOGNI RIMBALZANO” - IL MURO CHE TRUMP VORREBBE COSTRUIRE AL CONFINE TRA USA E MESSICO PER UN TERZO È GIÀ REALTÀ - VIAGGIO LUNGO LA FRONTIERA PIÙ SORVEGLIATA E PIÙ TRAFFICATA AL MONDO: IL PUNTO PIÙ DRAMMATICO DI SCONTRO TRA RICCHEZZA E POVERTÀ

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Rosalba Castelletti per la Repubblica

Fotografie di John Moore

 

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“Aqui es donde rebotan los suenos”, recita un graffito sulla barriera di metallo. “Qui è dove rimbalzano i sogni”. Questo muro arrugginito è dove Tijuana diventa San Diego, il limite dell’America Latina, la fine del mondo del bisogno e l’inizio del sogno americano. Il confine tra Messico e Stati Uniti si estende da qui per 3.169 chilometri fino al Texas attraverso California, Arizona e New Mexico.

 

Si snoda lungo deserti, montagne, fiumi e città. È la frontiera più sorvegliata e più trafficata al mondo. Il punto più drammatico di incontro e scontro tra ricchezza e povertà, tra applicazione ed evasione della legge.

 

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Per oltre un terzo della sua estensione il muro che il candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump vorrebbe costruire è già una realtà, anche se gli agenti del Border Patrol, l’agenzia statunitense che si occupa del controllo della frontiera, lo chiamano “fence”, recinzione. Una struttura discontinua, di cemento armato o lamiere metalliche, alta fino a cinque metri, interrotta solo dal profilo corrugato di una montagna o dal letto del Rio Grande. In alcune zone di frontiera corrono parallele persino tre barriere.

 

Laddove non ce n’è nessuna vi è quello che viene chiamato “muro virtuale”, un dispositivo di sicurezza che combina telecamere a infrarossi, droni, radar, torri di controllo, sensori di terra. Non basta a dissuadere i migranti che vogliono vivere il “sogno americano”.

 

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Ogni anno, per 350 milioni di persone che attraversano il confine legalmente, circa 500mila lo fanno illegalmente.

 

Migliaia muoiono nel tentativo. I corpi dei migranti trovati senza vita nell’Imperial Valley giacciono in un lembo di terra nel “cimitero dei poveri” di Holtville, in California. Non sono mai stati identificati. Sulle loro pietre tombali c’è scritto solo John o Jane Doe. Accanto vi sono le croci deposte ogni mese dai Border Angels, gli Angeli della Frontiera, l’associazione fondata da Enrique Morones. «Non chiamateli migranti illegali», dice. «Le persone non sono illegali. Hanno cercato di attraversare il confine senza documenti. Il muro le tiene fuori. Per gli americani è un simbolo di sicurezza, per i messicani di oppressione».

 

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Visto dal Parco dell’Amicizia di Tijuana, il muro è una cicatrice di piloni e reti metalliche che corrono fin dentro all’Oceano Pacifico. Una ferita nella geografia e nella vita della gente. Si infrangono le onde e anche i desideri di tanti latinomericani.

 

Questo Parco è uno dei pochi punti lungo la frontiera dove, per poche ore nel fine settimana, familiari da un lato e l’altro del confine possono scambiarsi parole e sorrisi attraverso i piccoli pertugi nella recinzione corrosa. L’America è vicinissima come le case di San Diego che svettano all’orizzonte, eppure lontanissima.

 

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«Per me è il castigo più grande riuscire a vedere la spiaggia del Coronado dove andavo a passeggiare con i miei figli la domenica mattina ed essere qui». Yolanda Varona, fondatrice di Dreamers Moms Tijuana, ha vissuto negli Stati Uniti 17 anni.

 

Entrata con un visto turistico, è rimasta oltre il termine consentito ed è stata deportata sei anni fa. I suoi due figli vivono ancora a San Diego. «Il muro per me è dolore, lacrime, impotenza e frustrazione. È la mia famiglia strappata, la mia vita cancellata. Non importa se ne faranno uno più alto o più grande. La gente proverà sempre ad attraversarlo».

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