FLASH! – ALLARME ROSSO PER LE GRANDI BANCHE AMERICANE, GIA’ LATITANTI ALL’INAUGURAZIONE DELLA…
Riccardo Staglianò per “il Venerdì di Repubblica”
La globalizzazione vista dal basso. Terra terra proprio, perché nel grande catalogo delle merci poche come le scarpe si prestano a raccontarne l' ascesa.
Ancora tre anni fa, nel mondo, ne sono stati prodotti 24 miliardi di paia scrive Tansy E. Hoskins, giornalista inglese autrice di Lavorare coi piedi (Einaudi, pag. 320, euro 19).
A un prezzo sempre più basso per il consumatore e un costo più alto, anche se non sempre percepito, per i cittadini secondo la sempre più centrale schizofrenia dei nostri tempi. Perché se è noto da tempo che la sfavillante industria della moda ha un vasto lato oscuro, quella delle calzature che esce da questo libro è una notte buia senza lampioni.
La storia inizia 40 mila anni fa quando, con grande giovamento evolutivo (avvolgersi pezzi di corteccia intorno ai piedi permetteva di acchiappare meglio le prede e sfuggire più velocemente ai predatori) abbiamo smesso di andare in giro scalzi.
La dialettica tra produttività e condizioni dei lavoratori è antica, con Tocqueville che, sulla proto-industrializzata Manchester, scrive che «da questa sudicia fogna sgorga oro puro».
Ma gli scarpai che Hoskins racconta l' hanno preso sin troppo alla lettera e lei si domanda: «Come possiamo incensare la globalizzazione senza sapere cosa significhi per l' operaia di una fabbrica cinese, il conciatore di pelli del Bangladesh, l' ambientalista brasiliano o gli adolescenti ammaliati dal consumismo e intrappolati in questo sistema?». Ogni aspetto di questa filiera è - caritatevole eufemismo - problematico. E la cronista, in un viaggio ampio e profondo, non si perde alcuna fermata perché ai suoi occhi ogni scarpa è un microcosmo di ciò che c' è di sbagliato nel mondo.
SIAMO TUTTI IMELDA
Com' è che siamo passati dalle sei paia di scarpe di un giovane donna con lavoro retribuito, secondo la media calcolata nei manuali di manifattura calzaturiera del '53, all'imeldamarcosizzazione (dalla consorte del presidente delle Filippine col suo parco chaussures da 3.000 esemplari) di massa?
La risposta sta in un rapporto dell' International Labor Organization che registrava, nell' intervallo 1970-90, aumenti del 597 per cento in Malesia e del 416 per cento in Bangladesh di lavoratori nel settore «tessile, abbigliamento e calzature» (TaC) a fronte di un' emorragia del 58 per cento in Germania e del 55 in Gran Bretagna.
Se l' operaio cinese costava un decimo di quello americano, anche il calzolaio messicano prendeva 1,70 dollari all' ora contro i 18,40 del suo omologo tedesco. A quei salari si poteva produrre tanto a poco, inondare il mercato e diventare l' inconsapevole benchmark al ribasso di tante altre retribuzioni.
I cantori della globalizzazione senza se e senza ma, sostenevano però che il lavoratore si avvantaggiava potendo avere sneaker a metà prezzo dimenticando che presto il suo datore di lavoro gli avrebbe rinfacciato che, dall' altra parte dell' oceano, con suo singolo salario avrebbe reclutato l' equivalente di due squadre di calcetto. In tanti, tantissimi ne hanno approfittato.
Da ultimo, con ulteriore paradosso essendo la figlia dell' uomo diventato presidente dichiarando guerra alla globalizzazione, Ivanka Trump i cui prodotti di moda venivano realizzati in venticinque fabbriche cinesi (nel 2018, sull' onda dello scandalo, il marchio ha chiuso).
Lo sfruttamento manifatturiero è raccontato da tante prospettive. Le 1.300 persone mandate a casa in rappresaglia di uno sciopero nel 2012 dall' indonesiana PT Panarub Dwikarya Benoa. Le sostanze cancerogene tra 6 e 177 volte superiori ai limiti di legge in una fabbrica vietnamita della Nike. L' incidenza della polineuropatia del calzolaio, malattia da prolungata esposizione ai solventi. Nelle sue spedizioni, Hoskins incrocia tanta Italia.
Il toscano che a Skopje possiede metà della fabbrica che realizza scarpe i cui operai non possono permettersi neppure con un' intera busta paga. Ma anche Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna abiti puliti, «una delle principali specialiste di diritti dei lavoratori nel settore calzaturiero». Si spiega l' escamotage del Traffico di perfezionamento passivo (Tpp), falla della legislazione doganale europea fortemente voluta da noi per poter chiamare Made in Italy roba fatta in Albania, Romania, Ucraina.
O il fatto di essere il secondo Paese destinatario delle enormi esportazioni di pellami del Brasile (dopo la Cina, prima degli Stati Uniti). Superpotenza pellettiera tra Solofra, Santa Croce sull' Arno (di recente alla ribalta per infiltrazioni 'ndranghetiste) e soprattutto Arzignano, in provincia di Vicenza. Di cui, a distanza di anni, ho ricordi vivissimi di erculei addetti ghanesi che, dopo averle tenute a mollo due giorni nel cromo per staccargli il pelo, afferravano lenzuoloni di pelle bagnati, pesanti e puzzolenti, il cosiddetto wet blue, per infilarli nei rulli che li avrebbero ammorbiditi.
FETICISMI E AFFARI
Hoskins racconta anche gli sneakerheads, i feticisti che si ritrovano ai raduni internazionali Sneaker Con per comprare e vendere modelli rari di Adidas come fossero Louboutin.
A proposito di suole rosse, si apprende che solo le persone che incontravano il favore di Luigi XIV potevano portare tacchi rossi come i suoi.
Si apprende anche che Phil Knight, il co-fondatore di Nike, è andato in pensione cinque anni fa con una fortuna di 35 miliardi di dollari.
Vale anche per lui il suggerimento buono per Bezos: non sarebbe andato a letto più sereno condividendo una quota maggiore di quella ricchezza con i milioni di addetti che guadagnano tra i 50 e i 100 dollari per cucire le sue tomaie? Ma immagino che l' osservazione "gli rimbalzi" più della suola dell' Air Max.
O addirittura di quelle a cuscinetti d' aria delle Dr. Martens. Diventate famose per l' estetica punk ma inventate - è la scoperta più amara - da Klaus Maertens che dottore era, ma militare nella Germania nazista.
Per bilanciare ideologicamente ci sono le Brinco (salto, in spagnolo), progettate dall' artista Judi Werthein per facilitare agli immigrati l' attraversamento del Rio Grande. Appese alle stringhe ci sono bussola e torcia elettrica, poi taschini per nascondere denaro, una mappa nella suola e antidolorifici per la traversata.
Ogni lunga marcia, si sa, inizia sempre con un piccolo passo.
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