DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Estratto dell'articolo di Elisabetta Reguitti per www.articolo21.org
“Ha mai dato della puttana a sua moglie?”
“Non mi sarei mai dato del cornuto”.
“Ha mai picchiato sua figlia F.?”
“In 25 anni qualche schiaffo è scappato”.
“Quante volte ha rasato a zero sua figlia, per punizione?”
“ Una sola volta”.
“Ha mai preso i soldi della pensione di invalidità di sua figlia, contro la sua stessa volontà?”
“Una sola volta, cento euro a prestito poi restituiti”.
In oltre tre ore di deposizione il marito e padre di quattro figlie, accusato di maltrattamenti violenze e aggressioni familiari che duravano da vent’anni, ha sostanzialmente ammesso quanto sopra.
Nega l’accusa di aver lanciato, durante un litigio, una insalatiera contro la moglie, nega il cuscino sulla faccia di una delle figlie per farla stare zitta, o di aver punito un’altra ragazza facendola mangiare sulla tazza del water, senza posate. Nega o al più, non ricorda. Di fatto quindi il racconto processuale fatto dalle quattro donne di famiglia che si dichiarano vittime, a tal punto da denunciarlo, sarebbe null’altro che un complotto ordito contro di lui per motivi di gelosia da parte della moglie e paura, da parte delle figlie, che lui avesse un figlio con un’altra donna e che potessero esserci, quindi, altri eredi.
Stiamo parlando di una vicenda familiare in cui è emerso, tra l’altro, come l’indagato abbia guadagnato 18mila e 500 euro di reddito complessivo in 23 anni. Una vita, parte della quale, scritta nel certificato dello storico delle carcerazioni dell’accusato.
Milano, davanti al collegio penale presieduto dalla giudice Mariolina Panasiti e i due a latere Valeria Recaneschi e Fabio Processo, si è chiusa l’istruttoria dibattimentale nel processo che vede alla sbarra l’uomo per il quale il pm Giovanni Tarzia e l’aggiunto Maria Letizia Mannella – del V Dipartimento della Procura di Milano – avevano chiesto il giudizio immediato.
Terminate le conclusioni dei difensori delle parti civili il legale Alessia Pucci, seguite dalla requisitoria del pubblico ministero; il prossimo 31 gennaio sarà il giorno delle conclusioni che spettano della difesa affidata all’avvocato Giovanna Creti del foro di Milano.
Ad assistere al processo c’è sempre anche la madre dell’imputato, in carcere dal dicembre del 2021, quella donna si sveglia all’alba per fare le pulizie: oltre al figlio, che ora è dietro le sbarre dell’aula 9, ne ha altri 7 avuti con un marito tossicodipendente e che, da quanto racconta nel corridoio durante una pausa, non le ha fatto mai mancare la sua dose di botte.
La donna entra nel processo solo in quanto teste ma guardare lei è anche comprendere il contesto complessivo di una realtà che sembra la sceneggiatura di una pellicola dedicata alla “normalità” della violenza domestica. Quel padre aggressivo e violento che in quelle tre ore di dichiarazioni, con orgoglio, rivendica il suo sentire: “Ammazzo chiunque possa fare del male a mia moglie e alle mie figlie”. E’ il suo modo di “amare” quelle quattro donne: possesso, controllo, gelosia, aggressività e costrizione.
Una brutta storia, tutta italiana, iniziata in Campania nel 2003 quando la moglie aveva solo 22 anni e tre delle loro quattro figlie poco più di 4, 2 anni e la terza solo qualche settimana. Sevizie, violenze, calci, pugni minacce di morte. Persino un sacchetto di plastica stretto al collo della moglie davanti agli occhi delle minorenni dall’uomo – allora ventiquattrenne – che considerava sua proprietà e dunque legittimato a qualsiasi nefandezza, il resto della famiglia.
[...]
Mia nonna che ci aiutava, cioè è stata la mamma di mia mamma… ci aiutava tantissimo. Io ero costretta a dire vicino a mia nonna: “Sì, nonna, tutto bene. Papà lavora”, invece no, dentro stavo morendo perché mia nonna non sapeva che mio padre picchiava nostra mamma, picchiava noi e si drogava, dovevo fingere che andava tutto bene pure sul lavoro, quindi stavo sempre… tenevo tutto dentro”.
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