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«Sono due giorni che non dormo, questa cosa mi ha messo una agitazione addosso che guardate... Forse se non avessi fermato tutta quella gente che urlava, lo offendeva – e certo che lo offendeva, voi che avreste fatto –, insomma se davvero avessi lasciato che lo linciassero sarebbe stato meglio. Ma ora lasciatemi dormire, sono di turno, dovrò fare la notte. Ah perché l’ho fatto? Come perché, c’era una bambina in questa storia, e io con i bambini ci lavoro in ospedale, per me sono tutto. Non ce l’ho fatta a girare la testa come qui hanno fatto in tanti per troppo tempo».
Don Paolo Glaentzer - L auto su cui ha molestato una bambina di dieci anni
Questa è la terza, forse la quarta volta che ripete il suo racconto Simone, l’ennesima in cui rivive la scena. «Ma l’altra sera non vedevo l’ora di dire tutto in caserma». La piccola con le gambe allungate sulle ginocchia del prete, «la maglietta di lei tirata su e i pantaloni abbassati». E poi, le mani di lui, cavolo che rabbia quelle mani voraci, ché a Simone scavano ancora nella testa così come le ha viste frugare nell’innocenza di una bimba di 10 anni.
Parla dal terrazzo, petto nudo, tatuaggi, concitato. Terzo piano di un palazzone a Calenzano, lo stesso da cui don Paolo Glaentzer lunedì è uscito poco prima di essere sorpreso sulla sua Giulietta metallizzata a palpeggiare la figlia di quelli che fino a lì erano amici, una famiglia difficile, da anni seguita dai servizi sociali, e che in tanti credevano aiutata anche da questo parroco di 70 anni, da 20 anni San Rufignano a Sommaia, la parrocchia arroccata sulle colline che guardano la piana, quasi un eremo, e invece ora la prigione di un uomo di chiesa accusato di pedofilia.
Proprio qui, in questo luogo bifronte, il Comune di Don Milani, dove il prete-mito ha maturato la sua visione prima dell’esilio a Barbiana, e dove negli anni ’70, a La Querce, è nata la prima cellula del Forteto, la comunità degli orrori sui minori poi trasferita a Vicchio.
I SOLITI SOSPETTI
«Sì, lo sospettavo da tempo, da mesi vedevo quell’uomo fare avanti e indietro. Veniva, usciva di sera, tardi, e la bimba gli andava dietro. Lunedì ho detto basta, l’ho seguita», dice Simone. E l’ha trovata lì, nell’auto con lui. E non servono nemmeno i dettagli. «Ho aperto lo sportello, allontanato la bimba. Che s’è spaventata, ha avuto una reazione isterica, pianto. Ho chiamato il mi’ babbo e la mi’ sorella. L’abbiamo coccolata, calmata, e io ho fermato lui». Il prete non ha mosso un muscolo. «Non t’azzardare, gli ho detto – racconta Simone – Ma non mi fate incazzare, non scrivete che c’è stata una “colluttazione”. L’ho evitata io».
Sulla strada alberata vicina ai campi di felci e erba alta sono arrivati i vicini, attratti dalle urla. «Lo infamavano, gli berciavano contro e mi chiedevano “lascia che gli dia du’ pedate a sto porco”. Ma io no, l’ho tenuto fermo in attesa dei carabinieri». I militari sono arrivati in pochi minuti. E sì, anche il prete s’è piegato. «Ha guardato verso l’infinito – dice Simone – ha pianto senza cambiare espressione, lacrime di disperazione perché ha realizzato che ormai era nella mer... fino al collo». Lacrime artificiali, se al citofono, mentre rimbombano le cicale di San Rufignano, don Paolo minimizza così: «I giornali esagerano, aspettiamo le indagini».
GLI ALLARMI ALLA DIOCESI
Come se questa storia non lo riguardasse. Come se non fosse un volto stranoto laggiù, fra i palazzoni anni ’70-’80. Perché fra i vicini e soprattutto nella famiglia di chi l’ha salvata, quella piccola non è l’unica dei quattro fratelli ad aver subito attenzioni morbose. «Sono anni – dicono due donne – che facciamo segnalazioni. Alla diocesi e ai carabinieri. Anche denunce, sì. Ma la comunità religiosa ci ha preso per matti». Simone lunedì ha risalito le scale del condominio. «Che tu fai, lasci che violentino la tu’ figliola?», ha gridato al padre. E lui ha pianto, «ha avuto un malore, sì, diciamo così, l’ambulanza era per lui».
LA GIULIETTA SU CUI È STATO FERMATO...
La Giulietta su cui è stato fermato il prete mentre molestava la bambina
Ma ora non sono pochi nel quartiere a sostenere Simone e la sua famigli”battaglia”. «Son Paolo li aiutava economicamente? Diciamo così. Ma qui c’era un via vai continuo - dicono la sorella e una vicina - Persone comuni. Entravano, uscivano, e dopo poco sbucavano dalla porta anche i bambini. Se hai genitori fragili». Una circostanza che gli inquirenti non confermano, «ma su cui dobbiamo indagare», confida una fonte. I sospetti in quel caso non sarebbero più i “soliti”. Significherebbe che questa famiglia, dopo una vita in bilico, era franata, scivolata in un gorgo di ricatti, vittima di una rete di cui l’eremo di Sommaia sarebbe solo un tassello.
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