DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…
Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa”
“Polizia. Deve venire subito a palazzo di giustizia. C' è da fare un confronto. Si tratta di Valpreda». Piazza Fontana per Guido Calvi cominciò così, quattro giorni dopo la strage. Mentre diventava l' avvocato di Pietro Valpreda (e poi protagonista di tanti processi chiave della storia italiana, da Pasolini a Moro), aveva 29 anni e tutt' altro per la testa. «Insegnavo filosofia del diritto. Se non avessi risposto a quella telefonata, tornato a casa dopo una lezione su Leibniz, non avrei mai fatto l'avvocato».
Che scena si trovò di fronte nel palazzo di giustizia?
«Nella stanza, da una parte il giudice Occorsio, il teste Rolandi, il capo dell' ufficio politico della Questura di Milano, Allegra. Dall' altra cinque poliziotti sbarbati e ben vestiti accanto a Valpreda in pantaloncini e canottiera, coi capelloni, la barba incolta e la faccia stravolta da due notti insonni».
Parlò con Valpreda?
«No, tutto era pronto per il confronto. Chiesi solo al testimone se qualcuno gli avesse già mostrato una foto di Valpreda. Rolandi negò tre volte, poi ammise: il questore mi ha mostrato la foto di Valpreda, dicendomi che era l' uomo che dovevo riconoscere».
Che cosa accadde dopo?
«Prima di uscire andai da Valpreda e gli dissi: tranquillo, abbiamo vinto».
Ma il tassista Rolandi aveva riconosciuto Valpreda come l'uomo che aveva portato in piazza Fontana.
«Dopo la frase sulla foto, il riconoscimento valeva zero. Avevo capito che il processo era tutto lì. Ma non che avremmo impiegato quasi vent'anni per una verità giudiziaria e storica».
Che cosa accadde dopo?
«Nell' istruttoria l'avvocato non aveva nemmeno il diritto di assistere all' interrogatorio del suo assistito. Per fortuna un giornalista mi passava i verbali di nascosto».
Com'era Valpreda?
«Personaggio singolare. Ballerino, anarchico, esibizionista, ma mite e inoffensivo. Un marginale. Che uscito di prigione, rifuggendo la vanità, si sposerà, farà un figlio e aprirà una paninoteca».
Com' era il vostro rapporto?
«Quando andavo a trovarlo in carcere, mi contestava perché ero socialista "e non avevo capito niente"».
Mai avuto dubbi su di lui?
«Qualcuno lo insinuò. In realtà li avevo su me stesso. Era il mio primo processo. Solo contro tutti. Cercai un collega più esperto per farmi affiancare, ma in tutta Roma non ne trovai uno disponibile, a parte Lelio Basso».
Perché?
«Cautela, se non paura».
Lei no?
«Avevo l' età in cui ci si può permettere di non averla. Nonostante i proiettili, le minacce, l'isolamento».
In che senso?
«Insegnavo all'università di Camerino, ma in mensa non potevo sedermi al tavolo dei professori, perché ero l'avvocato degli anarchici».
Si fece pagare da Valpreda?
«Non ho mai preso una lira per quel processo».
sandro pertini con pantaloni alla zuava
Come fece quando il processo fu spostato a Catanzaro?
«Il sabato sera prendevo una cuccetta di seconda classe, da sei posti. A Lamezia aspettavo i giornalisti, che avevano il vagone letto, per un passaggio in taxi. A Catanzaro dormivo su una brandina in un corridoio della federazione del Pci. Poi l' Anpi fece una colletta, almeno per albergo e ristorante».
Di piazza Fontana sappiamo tutto?
«Sì».
Fu strage di Stato?
«No, strage neofascista agevolata dallo Stato dirottando e depistando le indagini».
In che modo?
«Prima distruggendo la prova regina, la seconda bomba inesplosa alla Banca commerciale. Poi puntando sulla pista anarchica, come scrisse il ministro dell' Interno Restivo in un appunto».
Perché scelsero Valpreda?
«Probabilmente il primo obiettivo era Pinelli, con una struttura politica superiore».
Che idea le fecero i depistatori?
«Reazionari, rozzi, cialtroni. Guida, questore di Milano, era stato direttore del carcere di Ventotene sotto il fascismo. Motivo per cui Pertini, in visita di Stato a Milano, si rifiutò di stringergli la mano. Nel processo di Catanzaro, gli chiesi come avesse avuto la foto di Valpreda. Disse di non ricordarlo perché era un accanito fumatore e il fumo annebbia la memoria».
funerali delle vittime di piazza fontana - 15 dicembre 1969 - milano
Quale fu il ruolo del Viminale?
«Centrale. Russomanno, vicedirettore dell'Ufficio Affari Riservati che guidò le indagini andando a Milano, in gioventù era nella Repubblica di Salò e poi si era arruolato in una formazione militare tedesca».
Come gestì il peso politico del processo?
«Nella prima fase il consenso popolare contro gli anarchici era diffuso. Alzando subito il tiro, evocando i colonnelli greci o la Cia, saremmo andati contro un muro. Puntai sui dettagli. Fu una lenta costruzione».
Come fu possibile?
«L'episodio decisivo fu il funerale delle vittime nel Duomo di Milano. Dietro le bare tutte le autorità. Di fronte centomila operai in tuta blu. Era un messaggio: attenti, difenderemo la democrazia».
Fu colto?
«Si aprirono contraddizioni nella magistratura, nei giornali, nella polizia. Lo Stato contro lo Stato: da una parte forze vecchie e intrise di fascismo; dall' altra energie nuove e democratiche».
Quando capì che stavate vincendo?
«Quando cadde la P2 e fu svelato il doppio Stato, secondo la definizione di Bobbio. In quel momento la magistratura si legittima come baluardo costituzionale. Il che spiega ciò che è successo dopo».
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