PAURA DI SALIRE IN AEREO? ORA LA SOLUZIONE È LA TERAPIA VIRTUALE: DALLE 8 ALLE 12 SEDUTE CON SIMULAZIONI, STRESS TEST E POI QUESTIONARI E UN’APP CHE CONSENTE AL PAZIENTE DI AUTOMONITORARE LA SUA PATOLOGIA

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Giuseppe Del Bello per “la Repubblica”

 

Giuseppe ha 52 anni. Da oltre venti è proprietario di un importante calzaturificio, con commesse in Giappone, Usa e Australia. Il suo ruolo lo costringe a volare, ma appena mette piede in aereo inizia il calvario. Trema, suda, il cuore batte a mille. È panico, tutta colpa dell’aerofobia.

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Ne soffrono in tanti e Giuseppe ha fatto di tutto per vincerla. Alla fine, la soluzione arriva da un percorso terapeutico comprendente la Vret, la virtual reality exposure therapy. E’ una delle nuove frontiere della psichiatria, quelle che passano anche attraverso internet e la mobile therapy (smartphone e app). Fanno da supporto fondamentale alle terapie tradizionali e rivoluzionano il lettino freudiano, spalancando le porte alla telematica.

 

Strategie innovative su cui si sono confrontati i relatori dell’European psychiatric Association, al congresso presieduto a Vienna da Wolfgang Gaebel (ordinario a Dusseldorf). Si parte proprio dalla Vret, oggi applicata in vari paesi per sconfiggere le più diverse fobie. Come, appunto, la paura di volare.

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«Il soggetto viene condotto in una stanza in cui è riprodotta una serie di poltroncine di un aereo con accanto una finestra con uno schermo - spiega il professor Mario Maj, past-president della Società mondiale di Psichiatria e ordinario alla Seconda università di Napoli - così, davanti ad un display e una cuffia stereo alle orecchie, viene gradualmente esposto a varie esperienze virtuali simulanti il viaggio: preparazione al decollo, annunci dello staff, il decollo, il volo in una situazione di bello e cattivo tempo con turbolenza di entità crescente, l’atterraggio. Ad ogni stadio discute con il terapeuta il suo vissuto. L’intensità delle esperienze viene modulata dal terapeuta sulla base delle reazioni del soggetto, comprese frequenza cardiaca, respirazione e conduttanza cutanea».

 

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La terapia dura in media 8-12 sedute, le prime sono critiche con tasso di interruzione elevato, ma se si riesce a completarla, si ottiene una riduzione dell’ansia e della rinuncia. Giuseppe oggi vola, e la sua leggera apprensione è sotto controllo. Ma la psicoterapia utilizza anche compiti che, via internet, il paziente dovrà completare, oltre a questionari attraverso cui il terapeuta monitorerà l’efficacia della cura .

 

E per restare in rete, ecco la “mobile therapy” rappresentata da smartphone o app che consentono al paziente di automonitorare la sua patologia, verificando l’aderenza alla cura farmacologica che sta praticando, il rispetto dei consulti o delle sedute, la comunicazione con il terapeuta. «L’evidenza dell’efficacia di queste modalità di intervento è al momento limitata avverte Maj - ma il gradimento degli utenti è molto elevato.

 

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Alcuni studi hanno dimostrato che la psicoterapia cognitivo-comportamentale o interpersonale condotta via internet ottiene risultati analoghi a quella praticata di persona per i quadri di depressione e di disturbo ossessivo-compulsivo di entità lieve o moderata. È però essenziale che questo sviluppo sia guidato da studi ampi e rappresentativi. E che sia salvaguardata l’alleanza terapeutica tra medico e paziente».

 

Dal virtuale al reale, ecco l’allarme che il presidente della Società italiana di Psichiatria Emilio Sacchetti lancia a Vienna. Ha un nome, agitazione psicomotoria, un’identità patologica a cui sono esposti circa 500 mila italiani ogni anno, in tutte le forme, da lievi a molto gravi.

 

TERAPIA VIRTUALE CONTRO L AEROFOBIATERAPIA VIRTUALE CONTRO L AEROFOBIA

«Colpisce in particolare pazienti affetti da malattia mentale, ma non solo - avverte Sacchetti - può essere scatenata anche da abuso di alcol e droghe, cannabis, ma soprattutto ecstasy e sostanze anfetamino-simili». La diagnosi certa è possibile? Solo in centri specializzati e qualificati, rispondono gli esperti, dal momento che l’agitazione patologica si riferisce ad un disturbo psicotico (schizofrenia o sindrome bipolare) nel 35% dei casi, a disturbi dell’umore nel 29, a quelli d’ansia in oltre il 20, a disturbi di personalità nel 17 e ad abuso e dipendenza nel 14.

 

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Talvolta l’agitazione psicomotoria è un campanello d’allarme che rivela una patologia sconosciuta, oppure può derivare da disturbi neurocognitivi, turbe del sonno, tumori cerebrali o altre malattie neurologiche. «Ma è uno stato - precisa Sacchetti - che può essere prevenuto e controllato. E per intervenire efficacemente sono necessari un ambiente protetto e silenzioso, con luce bassa e senza stimoli esterni. Sul fronte dei farmaci, i più usati sono antipsicotici e benzodiazepine: «Un nuovo antipsicotico (loxapina), somministrabile per “aspirazione”, modalità più rapida in situazioni delicate, sarà in commercio tra meno di un anno».