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Andrea Scanzi per il “Fatto quotidiano”
Ci sono sempre più appassionati di distillati, ed è comprensibile: è un (vasto) mondo meraviglioso, soprattutto se si ha voglia di cercare e se si sa bere con giudizio (cioè poco e bene). Esistono distillati ritenuti nobili, come il rum o i single malt scozzesi, e altri un po’ bistrattati. Appartiene a quest’ultima categoria il bourbon whiskey (si scrive con la “e” tra la “k” e la “y”, a differenza di quello scozzese e come quello irlandese).
Ultimamente però i bourbon stanno ricevendo inattesa attenzione anche in Italia, un po’ perché il livello si sta rialzando – dopo la tristezza degli anni Ottanta e Novanta – e un po’ perché grazie al web si può assaggiare di tutto. Se si hanno in mente i whisky torbati di Islay, il bourbon è davvero un’altra cosa. Probabilmente inferiore e certo diversa. Ma affascinante. Abbandonate l’idea secondo cui il bourbon è (solo) quello che avete bevuto al bar col ghiaccio o trovate al supermercato: sarebbe come dire che il vino vero è quello nei cartoni.
IL BOURBON, parola che pare sia stata usata una prima volta dal Reverendo Elijah Craig nel 1789, deve avere caratteristiche specifiche. Le principali sono: essere fatto solo negli Stati Uniti; avere una percentuale minima di miscela (mash) di mais al 51%; essere affinato in botti di rovere nuove e bruciate internamente.
Ciò spiega perché il bourbon sia più “dolcino” dei whisky scozzesi o giapponesi: il mais è molto più dolce dell’orzo (usato in Scozia) e le botti nuove e tostate aumentano la morbidezza e conferiscono quel sentore vanigliato tipico anche dei vini affinati (troppo) in barrique. C’è però bourbon e bourbon. Può essere prodotto ovunque negli Stati Uniti, ma il cuore resta il Kentucky. Altri Stati ricchi di storia sono Pennsylvania, California, Illinois, Utah, Montana, Georgia e Indiana.
Il mais può raggiungere una percentuale minima dell’80%: è il caso dei dolcissimi “Corn Whiskey”. Di solito un bourbon classico ha mais al 70% (il resto è segale e orzo). Proprio la segale, meno morbida, dà vita (minimo 51%) al “Rye Whiskey”, che era anche il whisky sgraziato – ma notevole – del west. C’è poi lo “Spring Wheat”, dove il cereale dominante è il grano, un po’ come le birre Weiss.
È obbligatorio mettere l’invecchiamento in etichetta se inferiore ai quattro anni, altrimenti si può omettere. Il procedimento più nobile di fermentazione è detto “sour mash”, letteralmente “miscela acida”, che è un po’ come la pasta madre per la lievitazione del pane. Il bourbon è solitamente meno caro di un single malt scozzese: a 20-30 euro si trovano già bottiglie notevoli, ma spesso si è costretti a salire (tanto). Non è il distillato della vita, ma è un bel mondo.
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