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I SOPRUSI DEI LUPI DI WALL STREET! - PIZZA CON PRESERVATIVI E GRAVIDANZE NASCOSTE: IL CASO MAUREEN SHERRY E I LUPI DELLA FINANZA CHE MOLESTANO LE COLLEGHE - “I SOPRUSI SULLE DONNE SONO LA NORMA”

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Serena Danna per il “Corriere della Sera”

All’ultimo World Economic Forum di Davos circolava un gioco chiamato «The name game». L’autrice Meredith Jones, responsabile della MJ Alternative Investment Research, ha calcolato quali sono i nomi ricorrenti ai vertici dei maggiori hedge fund, scoprendo che ci sono molti più capi uomini con lo stesso nome che donne al comando con nomi diversi. Il rapporto d’altronde, spiega Jones, è di ottanta a uno: bisogna scalzare diversi John, David, Robert e William prima di incontrare un’unica Jane. 
 

A dispetto dei codici etici e dei grandi annunci, Wall Street continua ad avere un problema con le donne. Dopo le statistiche e i processi, a denunciare il divario di genere ritornano le storie. Quella di Maureen Sherry, raccontata sul New York Times , è così paradigmatica che presto, oltre che un romanzo (Opening Bell), diventerà un film. 
 

Sherry è stata direttrice generale di Bear Stearns, la banca d’affari statunitense finita sotto il controllo di JP Morgan dopo la tempesta finanziaria del 2008. La sua carriera è un insieme di episodi che ricordano i soprusi delle confraternite universitarie piuttosto che le tappe di un percorso di successo, con i colleghi che le danno il benvenuto a Wall Street con una pizza condita con preservativi (messi al posto delle fette di salame) e che, anni dopo, fanno il verso della mucca quando intravedono il suo tiralatte in ufficio. 
 

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Nell’editoriale sul New York Times Sherry riporta un colloquio di lavoro avvenuto dieci anni prima con una neolaureata di una prestigiosa scuola di business, la quale — forte delle conquiste di chi l’ha preceduta— le chiede come sia per una donna lavorare per Bear Stearns. Per quella richiesta Sherry va in crisi. «Donne come me lavorano per la squadra — scrive sul Nyt —. Come i membri di una famiglia disfunzionale teniamo per noi i nostri segreti». 
 

Perché dire alla giovane ambiziosa neodiplomata la verità? Raccontarle delle gravidanze evitate e nascoste, delle donne assunte «solo se hanno un fratello maschio» e del collega che una volta ha utilizzato la riserva del suo latte materno per macchiarsi il caffè? 
 

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In fondo, è vero che il mondo della finanza è aperto e inclusivo rispetto al passato. Non ci sono più le «boom boom room», la famosa stanza per soli uomini nascosta nel seminterrato della sede newyorkese di Smith Barney, attiva fino alla metà degli anni Novanta. Nei questionari di ammissione a Morgan Stanley sono sparite domande come «se litighi con tua moglie di solito chi ha la meglio?» e nel primo impiego dopo l’Mba uomini e donne hanno gli stessi guadagni. 
 

Eppure i numeri — come le storie di Wall Street — continuano a restituire una realtà diversa: poche donne ai vertici che guadagnano molto meno dei colleghi uomini. 
 

Rispetto agli anni delle «boom boom room», il maschilismo di oggi è congelato nei contratti che obbligano le lavoratrici a risolvere ogni conflitto con la giustizia privata e segreta degli arbitri:

 

«La maggior parte delle persone è così contenta di avere un lavoro che non si preoccupa dell’idea di dover risolvere eventuali problemi in una sala conferenza alla presenza di un arbitro scelto dalla compagnia», scrive Sherry ricordando che due su tre casi si risolvono a favore di Wall Street.

 

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Dalla fine degli anni ‘90 — si legge in Selling Women Short di Louise Marie Roth — banche come Citygroup, Morgan Stanley e Merril Lynch hanno pagato «più di 100 milioni di dollari per risolvere controversie legate alla discriminazione sessuale, continuando a negare che ci fossero discriminazioni contro le donne tra le mura delle loro aziende». 
 

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Costringere le aziende a ricorrere ai tribunali della giustizia ordinaria sarebbe, secondo Sherry, la strada per risolvere davvero il problema a Wall Street. O quanto meno un buon inizio.