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Gi. Ven. per “Libero quotidiano”
Devono aver visto con attenzione i film americani di propaganda antisovietica, come i vari «Rambo 3» e «Caccia a ottobre rosso». O devono aver assistito con interesse alla pellicola di Clint Eastwood, «American Sniper», su un cecchino a stelle e strisce che fece secchi oltre 250 jihadisti iracheni.
Di sicuro i cinesi si confermano bravissimi a imitare e a utilizzare, a proprio beneficio, forme di convincimento di massa già adottate dai "nemici".
Perciò non sorprende che il regista cinese Zhang Yimou abbia deciso di girare un film su un cecchino, suo connazionale, che uccise decine di soldati americani durante la Guerra di Corea (1950-53).
Come ha detto al giornale cinese Global Times il produttore cinematografico Tan Fei, scopo del film è «far capire al pubblico con dei fatti storici che, sebbene gli Usa siano forti, non sono imbattibili».
La pellicola, che nella versione inglese dovrebbe intitolarsi «The coldest gun», racconta l' epopea di Zhang Taofang, che partecipò al conflitto in Corea come tiratore scelto dell' Esercito Popolare dei Volontari, schierato dalla Cina contro gli Usa. Arruolatosi nel gennaio del 1953, in soli 32 giorni uccise ben 214 americani su 442 colpi sparati. Per queste gesta diventò un idolo in patria e non solo, venendo tributato col titolo di «eroe dei cecchini» dalla Repubblica Popolare Cinese e con la «Medaglia della bandiera nazionale di prima classe» dall' Assemblea popolare suprema della Corea del Nord.
La realizzazione di un film sul cecchino Zhang lascia ben capire il livello dello scontro ideologico, politico e culturale tra Cina e Usa. La sensazione è che l' oggetto del contendere riguardi non più solo il presente, le sue minacce e le sue sfide, vedi la questione virus o le guerre commerciali; e che non abbia solo a che fare con il futuro, e quindi coi rischi del 5G; ma che riguardi anche la reinterpretazione del passato, la costruzione di un mito funzionale a supportare la propaganda attuale. Così è per la Guerra di Corea che finì sostanzialmente in un pareggio tra Stati occidentali guidati dall' America e Paesi comunisti, con il sospendersi del confitto all' altezza del 38° parallelo e la divisione tra le due Coree.
Ma, alla retorica attuale di Pechino, conviene presentarla piuttosto come uno dei momenti che attesterebbero la fallibilità americana e la grandezza militare cinese.
Inoltre la realizzazione di questa pellicola mostra come la sfida Cina-Usa faccia ormai ricorso a qualsiasi strumento mediatico: non più solo i social network, censurati in un caso (da parte di Pechino) e boicottati nell' altro (vedi quanto fatto da Trump con WeChat e TikTok), non più solo la tv libera contrapposta alla tv di Stato e di Partito, ma ora anche il cinema. Lo scopo è sempre quello di galvanizzare e manipolare le proprie "truppe" e screditare l' avversario.
Ma in questo caso c' è un passaggio ulteriore: i cinesi hanno compreso che, insieme all' hard power, declinato attraverso veti, limitazioni alla libertà di parola e un' informazione preventivamente controllata, esiste un soft power più efficace, che è quello del racconto cinematografico, sospeso tra verità e fiction. La Cina si è accorta che la guerra si gioca anche a suon di pellicole e che, per indurre l' opinione pubblica a diventare sinofila, bisognerà renderla prima cinefila.
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