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"MI AVEVANO PROMESSO UN LAVORO IN UN RISTORANTE, MA MI HANNO OBBLIGATO A PROSTITUIRMI" - IL RACCONTO DI UNA 25ENNE TRANS BRASILIANA CHE, UNA VOLTA ARRIVATA IN ITALIA, È STATA OBBLIGATA A VENDERE IL SUO CORPO SU UN MARCIAPIEDE ALLA PERIFERIA DI TORINO - LA RAGAZZA, A CUI ERA STATO SEQUESTRATO IL PASSAPORTO, DOVEVA PAGARE 250 EURO A SETTIMANA AL SUO PAPPONE PER "L'AFFITTO" DELLA PIAZZOLA DOVE LAVORAVA DALLE 20:30 ALLE 6 DEL MATTINO - OGNI RAPPORTO SESSUALE DOVEVA DURARE NON PIÙ DI 20 MINUTI E IL CLIENTE DOVEVA DARLE...
Estratto Dell'articolo Di Elisa Sola Per "la Stampa"
L'hanno trovata di notte, seminuda, sul marciapiede del grande incrocio che divide Torino dal resto del mondo. La sopraelevata deserta davanti a lei, sullo sfondo la fabbrica dell'Aerospazio.
Stava in piedi davanti alle ultime casette con giardino costruite per i dirigenti di quella che un tempo fu la Torino industriale. L'ultima via residenziale prima della terra di nessuno del sesso a pagamento. Le schiave del sesso sono in fila, divise per etnia.
Zona Parella, periferia Ovest. Dai Balcani al Sudamerica, ogni metro quadrato di marciapiede ha una donna in vendita. Tutto ha un prezzo o un pizzo da pagare. Anche la porzione d'asfalto: 250 euro a settimana. Laya fa qui l'ultima telefonata dal suo cellulare, prima di gettarlo sullo stradone che va verso i campi di Collegno.
Un diplomatico del consolato brasiliano, poche ore dopo, verrà a prenderla. «Mi hanno salvata dopo 19 notti. Grazie alla mia mamma. Pensava che fossi felice, a lavorare in una pizzeria. Come mi aveva promesso chi mi ha convinta a venire in Italia. Invece ero una schiava».
La madre di Laya chiama la polizia federale brasiliana. È la prima mossa che dà vita all'indagine che permette di salvare sua figlia, 25 anni, e altre undici ragazze trans fatte arrivare dal Brasile nel Nord Italia nel 2024. La squadra mobile di Torino, coordinata dai pm Roberto Furlan e Valerio Longi, ipotizza la tratta e lo sfruttamento della prostituzione.
«Vivevano segregate», scrivono. Il tribunale, accogliendo la richiesta dei pm, ha disposto il giudizio immediato per cinque presunti sfruttatori. Sono tutti brasiliani e difesi, tra gli altri, dagli avvocati Francesca Caseri, Andrea Giovetti e Alberto Metallo. La polizia federale brasiliana stava indagando da mesi, con l'Fbi, sulla tratta di esseri umani verso l'Italia. La polizia italiana ha fatto il resto.
E ha raccolto la storia di Laya, prima che la rimpatriassero: «Sono stata liberata l'undici maggio 2024. A mia madre, pochi giorni prima, al telefono, sono riuscita a dire poche cose. Che non ero a fare la cameriera. Ma che mi costringevano a prostituirmi. È stato difficile fare quella chiamata. Perché ci controllavano. Sempre».
Nel mondo della compravendita del sesso tutto è organizzato. Di notte si sta sulla strada. Di giorno in casa. «Non potevamo uscire. Eravamo senza documenti. Appena arrivata a Milano mi hanno preso il passaporto. Per riaverlo, avrei dovuto pagare 10mila euro ai miei sfruttatori». Non solo. «Oltre all'affitto della piazzola pagavo il pasto giornaliero, 15 euro. E altri 30 all'autista che ogni sera ci portava nella zona dove ci dovevamo prostituire. [...]
Il tariffario per i clienti era, secondo l'accusa, imposto dagli sfruttatori. Trenta euro a rapporto. Venti minuti la durata massima del tempo da dedicare a ogni cliente. «Guadagnavo 400 euro ogni notte. Consegnavo tutto a Bruna, la persona che ci gestiva».
Come si finisce dal Brasile alla strada del sesso a pagamento di Torino? «C'era questa mia amica, Ravila. In Brasile mi diceva che si sarebbe presto trasferita in Italia per lavorare come baby sitter. Tramite lei mi hanno promesso un lavoro in un ristorante. Sono partita il 24 aprile 2024».
Laya sale su un volo di linea piena di speranze. Compagnia Latam, il biglietto spedito da uno sconosciuto. A Milano trova ad aspettarla un uomo sulla cinquantina. «Mi ha portata in casa. Qui c'era Bruna. Mi ha spiegato che dovevo vendermi. Ho detto che avevo mal di gola. Ha risposto che non importava. Mi ha sequestrato il passaporto e mi ha portata in via Servais».
Per 19 notti Laya si vende a sconosciuti che le fanno ribrezzo. Ogni giorno delle 20 e 30 alle 6. La controllano a vista. Non vogliono che usi il telefono. Se non per rispondere a Pitanga, per l'accusa la «responsabile della condotta in strada», che, intercettata, alle "sue" ragazze dice: «Vi voglio vedere in fila in bella mostra. Non vi voglio vedere drogate. Quando torno, voglio dei risultati ok? E non dimenticatevi di aggiornarmi su quanti soldi state facendo».
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