DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Estratto dell’articolo di Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
TESTIMONE DELLE TORTURE A GIULIO REGENI
Al processo ai quattro militari egiziani presunti sequestratori di Giulio Regeni (uno dei quali accusato anche delle torture e dell’omicidio) è il momento dei testimoni oculari. I volti e le voci di due palestinesi detenuti nello stesso carcere e negli stessi giorni del ricercatore italiano rapito al Cairo il 25 gennaio 2016, e fatto ritrovare cadavere il 3 febbraio, arrivano nell’aula della corte d’assise di Roma e raccontano l’orrore vissuto da quel ragazzo, forse scambiato dal regime per una spia o un sovversivo: «Ho visto Giulio ammanettato con le mani dietro la schiena, a cinque metri da me, gli occhi bendati, mentre veniva condotto verso il luogo dell’interrogatorio».
Le testimonianze sono state raccolte dalla rete araba Al Jazeera per un documentario già trasmesso, di cui la Procura di Roma ha recuperato l’intero girato, per mostrarlo ai giudici. I volti travisati dei testimoni e il doppiaggio in italiano non attenuano il dramma del ricordo: loro, usciti dalla striscia di Gaza e arrestati mentre cercavano di raggiungere l’aeroporto del Cairo, si sono salvati; Giulio no.
«L’ho incontrato al secondo giorno della mia permanenza lì, il 29 gennaio — ricorda il primo testimone —, di pomeriggio. Indossava una maglietta bianca e un pantalone largo blu, non aveva tracce di sangue, ma quando l’ho rivisto all’uscita dall’interrogatorio era sfinito dalla tortura, riportato in cella a spalla da due carcerieri».
I due palestinesi riferiscono di avere subito gli stessi trattamenti nella prigione con «celle molto strette, umide e maleodoranti, isolati dal mondo esterno, sembrava di essere in un sepolcro», piena di reclusi quasi tutti egiziani o arabi, tranne Giulio e un cittadino russo.
«Uno era completamente nudo, portava i segni della tortura sulla schiena diventata di colore blu e viola, talvolta davano i vestiti già indossati dai detenuti precedenti», dice l’altro testimone che ha visto Giulio per due giorni consecutivi: il 28 e il 29 gennaio:
«Il giorno 28, tra mezzogiorno e il tardo pomeriggio, aveva trascorso circa sei ore nella sala dell’interrogatorio». L’indomani, 29 gennaio, il «trattamento» durò circa quattro ore, e anche a lui il ragazzo apparve «sofferente per la tortura subita».
Entrambi i testimoni riferiscono che una delle domande che sentirono fare a Giulio era dove avesse imparato a resistere alle torture, «a superare le tecniche per affrontare gli interrogatori», quasi che questo particolare fosse un ulteriore elemento di sospetto a suo carico. «Se Regeni avesse risposto o meno non lo sappiamo — aggiunge uno dei due — insistevano molto su questo punto, erano nervosi anche quando non rispondeva, usavano la scossa elettrica e lo torturavano con la corrente». […]
I due palestinesi non hanno mai parlato con Giulio, perché quando l’hanno visto «c’erano sempre i carcerieri e gli investigatori»; ricordano alcuni nomi, tra i quali un certo «colonnello Ahamad, dottore specializzato in psicologia, il colonnello Haitam e il capitano Khaled». Ma uno dei due cita anche «il colonnello Tareq», nome che potrebbe corrispondere a uno dei quattro imputati, «ripetutamente presente agli interrogatori di Giulio, cosa mai avvenuta con altri detenuti». […]
LA SALMA DI GIULIO REGENIgiulio regeni GIULIO REGENI E AMICIFIORI PER GIULIO REGENIgiulio regeni
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