AGENTI O “CRETINI”? - I POLIZIOTTI CHE HANNO APPLAUDITO I COLLEGHI CONDANNATI PER LA MORTTE DI ALDROVANDI NON CI STANNO AL TIRO AL PICCIONE: “ANCHE NOI VOGLIAMO UNA TELECAMERINA PER RIPRENDERE QUELLO CHE CI SUCCEDE”

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1 - "OGNI FERMO DIVENTA UNA DENUNCIA BASTA UNA FOTO PER FARCI CONDANNARE"
Francesco Grignetti per "La Stampa"

Quell'applauso di Rimini non si dimenticherà facilmente. È come se sia scavato un solco invalicabile tra due mondi che non comunicano più. Da una parte quelli che si sono indignati. Dall'altra quelli che si sono offesi. I delegati del Sindacato autonomo di polizia lasciano dunque Rimini con un fegato grosso così. Non capiscono. E bisogna parlare con calma con tanti di loro, per sentire che cosa si agita in pancia. «Ormai ogni scusa è buona per isolarci e indicarci a dito», si sfoga Antonio Perna, in forza alla questura di Torino.

«Noi chiediamo solo di essere tutelati perché troppo spesso la verità è falsata dalle parole. Non abbiamo paura della verità. È per questo che chiediamo una telecamerina per ciascuno, che documenti ogni nostro passo. Troppo facile tagliare una frase, o un gesto, dal contesto e condannarci. A Rimini abbiamo semplicemente espresso la nostra solidarietà umana a dei colleghi».

«Già - si inserisce la voce di Antonio Gurgigno, anche lui da Torino - ormai qui è una caccia al piccione. Non sappiamo più come fare. Interveniamo per un arresto e c'è subito qualcuno pronto a farti la foto o il filmatino con il cellulare. È diventato uno sport nazionale. Poi tagliano e cuciono e mettono su Internet dei pezzi dove siamo sempre noi le carogne. E visto che a noi poliziotti non credono più, per cautelarci ci servono le riprese video».

Non è più solo questione di stipendi bassi, di benzina che non c'è, di giacconi invernali che non arrivano, di infrastrutture che fanno pena o di carenze d'organico crescenti (con carichi di lavoro che aumentano): questo era un mal di pancia cronico. Ora c'è risentimento, che dà luogo a rabbie incontrollate, perché ci si sente vittime sacrificali.
«Le racconto una storia - dice Stefano Paoloni, che è appena stato nominato presidente del Sap - accaduta da noi a Bologna: i due agenti di una volante fanno un controllo a tre extracomunitari. Due con documenti, via.

Uno senza, lo accompagnano in ufficio per accertamenti. Prima di portarlo in camera di sicurezza, però, come da regolamento, lo perquisiscono. E il documento salta fuori; lo denunciano per «rifiuto di dichiarare le proprie generalità» e lo mandano via. Beh, quello esce e immediatamente va dagli «avvocati di strada» li denuncia per abuso d'ufficio e accompagnamento illegale. Sa come è finita? Un'ammenda all'extracomunitario. Una condanna in primo grado a 2 anni e 3 mesi per gli agenti. Storie così ce ne sono un'infinità. Ecco perché siamo arrabbiati e delusi, e qualcuno è anche intimorito: ogni intervento può dare rogne e gli avvocati ce li paghiamo».

Se i poliziotti del Sap insomma si sono convinti che nessuno più li tutela, né la gerarchia, né la politica, né la magistratura o i media, al punto che l'ultima spiaggia è la neutralità di una telecamera, il problema è serio. Un tempo lontano, infatti, sarebbe stato impensabile portare la Celere sul banco d'accusa. Ma i tempi sono cambiati. Con il G8, i tribunali hanno decapitato un intero gruppo dirigente della Ps che pure aveva fatto moltissimo contro la mafia, ma evidentemente davanti alla giustizia penale non si possono mettere sullo stesso piano meriti e demeriti.

«Ora siamo diventati noi i brutti sporchi e cattivi», ironizza un altro delegato di ritorno dal congresso, Silverio Sabino. «Le polemiche su quell'applauso, che era davvero umano e non politico nei confronti di colleghi che conosciamo da tanto, iscritti al nostro sindacato, mi amareggiano tantissimo. Le considero una grande strumentalizzazione».

«Il nostro applauso - dice un quinto, Massimo Montebove, portavoce del Sap - non era contro qualcuno, ma per affermare un principio di verità che riguarda molte vicende che vedono poliziotti sotto inchiesta, non solo il caso Aldrovandi. Stima e rispetto per la mamma di Federico, da parte mia, c'è stata sempre».

Alla fine, questi del Sap un po' si sentono nell'angolo, un po' cercano l'isolamento. Il neosegretario, Gianni Tonelli, usa toni dannunziani: «Sono il cattivo del momento». Non disconosce l'applauso, anzi. «Siamo liberi di solidarizzare con un collega che riteniamo condannato ingiustamente. Ma se questo è diventato un Paese dove non si può più nemmeno manifestare liberamente il proprio pensiero, meglio tornarsene tutti a casa».

D'altra parte sono mesi che afferma che per lui i quattro condannati «sono innocenti e basta leggere gli atti del processo per capirlo». Ieri, poi, Tonelli sfidava tutti: Renzi, il ministro Alfano, il viceministro Bubbico, pure il capo della polizia, il prefetto Alessandro Pansa. «Mettano i loro uffici legali a leggere gli atti e poi ci confronteremo».

2 - LORENZO TAMARO: «IO C'ERO E HO BATTUTO LE MANI AI COLLEGHI NON SIAMO MOSTRI, TENIAMO ALLA DIVISA»
Fiorenza Sarzanini per il "Corriere della Sera"

Lorenzo Tamaro martedì pomeriggio era in quella in quella sala dell'hotel di Rimini. Batteva le mani, esprimeva «vicinanza ai colleghi». Dice proprio così. E lo fa rivendicando «il gesto spontaneo di solidarietà per colleghi che hanno vissuto un dramma umano». Tamaro ha 48 anni, svolge un incarico investigativo a Trieste, è delegato sindacale perché è il segretario provinciale del Sap . Conosce bene il caso di Federico Aldrovandi.

Lei pensa di aver fatto la cosa giusta?
«Sì, perché non c'è stata nessuna esaltazione, non volevamo dimostrare nulla. Questa storia è stata strumentalizzata».

E allora ce la racconti lei.
«Eravamo nella sessione pomeridiana a porte chiuse. A un certo punto il segretario nazionale Gianni Tonelli ha presentato un nuovo progetto e ci ha comunicato che in sala c'erano i tre colleghi rientrati da poco in servizio. A quel punto li abbiamo applauditi per salutare questo ritorno. È stato un gesto spontaneo».

Lei ritiene che meritassero una simile ovazione?
«Sarà durato meno di un minuto. E non è vero che eravamo tutti in piedi. Qualcuno si è alzato ma non c'è stata alcuna ovazione. Abbiamo espresso solidarietà a chi ha avuto un problema professionale grosso».

Sono stati condannati per omicidio colposo in via definitiva.
«E hanno scontato la pena senza mai contestare la decisione dei giudici. Hanno chiesto di accedere alle misure alternative e di essere affidati ai servizi sociali e, come spesso accade a noi poliziotti, le loro istanze sono state respinte. Le loro vite e quelle delle loro famiglie sono state travolte».

La vita di Federico Aldrovandi è stata stroncata.
«Ma questo applauso non era certo un insulto al dolore della madre. Noi abbiamo sempre avuto per lei grande rispetto. Sono due piani completamenti diversi».

Che vuol dire?
«Noi siamo sempre stati convinti che chi sbaglia deve pagare. Ma bisogna essere sicuri che abbiano sbagliato, conoscere la verità».

E pensa che una sentenza non sia sufficiente?
«Il nostro segretario nazionale Gianni Tonelli sta portando avanti una battaglia per ottenere la revisione del processo. Io credo sia fondamentale andare fino in fondo. Non c'è niente di male a chiedere che si faccia piena luce, che si arrivi alla verità. Questo dovrebbe essere apprezzato anche dalla famiglia della vittima».

La signora Moretti ritiene che sia stata fatta giustizia per la morte di suo figlio. Eppure un altro sindacato, il Coisp, organizzò una manifestazione sotto l'ufficio dove lei lavora.
«Quella era una provocazione e infatti il Sap si era dissociato. A Rimini c'era un contesto completamente diverso. Il parallelismo non regge: la nostra era una riunione a porte chiuse, loro sono scesi in piazza a manifestare».

L'effetto è stato lo stesso.
«Ed è un effetto sbagliato perché nel nostro applauso non c'era alcun intento provocatorio ma solo comprensione per quello che i colleghi hanno vissuto. Infatti è accaduto mentre stavamo discutendo di un nuovo progetto relativo all'ordine pubblico. Noi chiediamo di avere le telecamere per poter documentare quanto accade davvero. Vogliamo che si smetta di considerarci mostri ancora prima di verificare che cosa è accaduto».

I filmati sulla manifestazione di Roma hanno mostrato un suo collega mentre calpestava una ragazza finita a terra. Non crede fosse abbastanza veritiero per dimostrare che cosa è successo?
«Bisogna sempre poter vedere le situazioni nel loro complesso, accertare tutti i fatti, sapere che cosa è successo prima e dopo un episodio».

Quindi secondo lei l'artificiere non è un cretino?
«Assolutamente no. E infatti il giudizio del capo della polizia Alessandro Pansa ha provocato grande malumore al nostro interno».

Ieri sera è intervenuto il capo dello Stato Giorgio Napolitano che ha definito indegna la vicenda e il presidente del Consiglio Matteo Renzi dice che avete disonorato la divisa.
«È un giudizio assurdo. Io faccio questo mestiere con il massimo impegno tra mille difficoltà. E posso dire di aver sempre onorato l'uniforme che indosso con orgoglio».

 

 

LA MADRE DI ALDROVANDI CON LA FOTO DEL FIGLIO DURANTE IL SIT IN DEI POLIZIOTTI federico aldrovandi L'APPLAUSO AGLI AGENTI CONDANNATI PER LA MORTE DI ALDROVANDIL'APPLAUSO AGLI AGENTI CONDANNATI PER LA MORTE DI ALDROVANDICONGRESSO SAP LA RUSSA COMI MAGDI ALLAM CONGRESSO SAP LA RUSSA ALLAM COMI GASPARRI LORENZO TAMAROSCONTRI A ROMA RAGAZZA SCHIACCIATA DA AGENTE DI POLIZIASCONTRI A ROMA DAVANTI AL MINISTERO DEL WELFARE SCONTRI A ROMA MANIFESTAZIONE NOTAV SCONTRI A ROMA CONTRO L AUSTERITY SCONTRI A ROMA MANIFESTAZIONE NOTAV