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G.F. per “la Repubblica”
Il servizio segreto civile egiziano aveva un dossier su Giulio Regeni. Un agente della National Security agency chiese informazioni sul ricercatore italiano a una persona vicina a Regeni due giorni prima che scomparisse e il giorno dopo il sequestro. In entrambi i casi si trattava dello stesso uomo, un giovane funzionario, che conosceva bene nome e storia personale di Regeni.
La circostanza viene raccontata a Repubblica da almeno tre diverse fonti qualificate e diventerà un passaggio cruciale di questa annunciata fase due dell’indagine congiunta. Sulladisponibilità egiziana a esplorare il terreno degli apparati si misurerà infatti l’effettiva voglia di cercare la verità.
Fase due che non sembra partire nel migliore dei modi. Ieri il procuratore di Giza, Ahmed Nagy, nel confermare le discrepanze con l’autopsia italiana e dunque rafforzare quanto il suo procuratore aggiunto Nasr aveva detto in un’intervista martedì scorso («per noi non c’è nessuna frattura del collo», dice, mentre per la procura di Roma quella lesione è stata senza alcun dubbio la causa della morte), ha fatto notare come la sua procura non avesse mai ricevuto l’ordine di agire congiuntamente al team inviato dall’Italia. E che la lettera consegnata ieri dall’ambasciatore egiziano alla procura di Roma porta la firma del procuratore aggiunto egiziano e non di Nagy.
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Eppure dipenderà soltanto dal suo ufficio mostrare in cosa, realmente, consisterà questa collaborazione: se soltanto uno sterile scambio di atti innocui, come fin qui è avvenuto. Oppure se davvero si vorrà riprendere dal principio in mano l’inchiesta, nonostante ci siano lacune insanabili come la cancellazione delle immagini registrate dalle telecamere nella metropolitana e attorno a casa di Giulio.
I punti fermi fin qui sono pochi. I tabulati telefonici che raccontano che Giulio è salito sulla metro, direzione piazza Tahrir, perché qui si è connesso a Internet con il telefonino per l’ultima volta. Sono le 19.48 del 25 gennaio. Da questo momento in poi il ragazzo è come se sparisse nel nulla: cellulare spento, nessuna traccia di fermi o arresti. Dopo otto giorni di silenzio il cadavere verrà ritrovato il 3 febbraio sul cavalcavia del quartiere 6 ottobre, lungo la strada tra Cairo e Alessandria. Era stato ucciso 24 ore prima. Questi i dati certi. Sul resto soltanto grande confusione, figlia anche dei depistaggi che ha conosciuto in queste prime cinque settimane l’indagine egiziana.
Per poter dare slancio alla nuova inchiesta sarà dunque inevitabile partire da un punto: riascoltare tutti i testimoni. Gli stessi che fin qui hanno raccontato di non sapere nulla o comunque non hanno offerto alcun tipo di dettaglio utile per poter arrivare alla verità. Interrogandoli nuovamente, in condizioni diverse, e soprattutto offrendo loro garanzie di incolumità vista la presenza del team italiano, è possibile che si arrivi a ottenere particolari che, almeno nei racconti ufficiali, non sono mai emersi.
Chi viveva con Giulio, gli inquilini del palazzo al numero 8 di Yanbaa Street. E ancora i suoi professori, le poche persone con cui Regeni lavorava. Molti indizi dicono che ciascuno di loro abbia ancora da raccontare qualcosa che potrebbe rilevarsi utile. Forse decisivo.
GIULIO REGENI E AMICI
Giulio Regeni
REGENI
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